Li accontentiamo ma non li educhiamo

Osservando alcuni genitori, e alcune modalità dei figli alle risposte dei genitori, ma anche osservando le relazioni tra adulti, ho fatto questa riflessione: “Li accontentiamo ma non li educhiamo”. Ma cosa significa per ciascuno di noi accontentare? Accontentare significa, e cito testualmente, rendere temporaneamente contento; soddisfare.
Mi soffermo su due termini nello specifico: temporaneamente e soddisfare.

Il bambino dice: “voglio quello” e il genitore dice: “NO!”
Il bambino piange, urla, inizia a protestare. Il genitore, che si trova nel mezzo di una cena con gli amici, oppure alla cassa del supermercato, sente in quel momento tutti gli occhi puntati su di lui. Ha due possibilità: silenziare il figlio, accontentandolo, e tornare alla cena con gli amici oppure spostare il focus della sua attenzione dagli amici al figlio, essere coerente con il “NO” detto e portare avanti la sua scelta. Poi forse potrà tornare dai suoi amici.
Uso il termine silenziare in modo intenzionale, perché spesso è questo il fine ultimo di alcuni comportamenti dei genitori: silenziare il figlio, farlo smettere. “Piangi e ti do il ciuccio”; “protesti, mi metti in difficoltà, ti dico NO poi SI perché è venerdì sera, sono stanco e voglio rilassarmi un attimo” oppure “è domenica, domani inizia una nuova settimana faticosa, non ti voglio più sentire”. Vi è familiare?

Il problema è che prima è questo, poi quello, e poi quell’altro ancora. Perché?
Perché viviamo in una società consumistica, ovvero una società volta al soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, alieno da ideali, programmi, propositi, tipico della civiltà dei consumi, dove tutto ciò che ci viene proposto suscita in noi un bisogno che va soddisfatto subito. L’adulto può scegliere, in base alle sue priorità, esigenze e possibilità se acquistare o meno un bene, ma il bambino subisce in maniera passiva il messaggio consumistico, per cui pensa che tutto ciò che gli si presenta davanti sia a sua disposizione.
Il bisogno viene dunque soddisfatto temporaneamente, ovvero è soddisfatto fino alla nascita del successivo, e se l’atteggiamento dell’adulto è “ti soddisfo così mi lasci in pace e rilasso un po” in realtà ciò che accadrà sarà: il bambino chiede, l’adulto soddisfa così pensa di stare tranquillo, poi il bambino chiede di nuovo (disturbando il genitore), il genitore accontenta (chiedendo che sia l’ultima richiesta), il bambino accetta ma poi…e così via finché il genitore che non ne può più, esasperato dall’aver accontentato in cambio di pace e tranquillità e dall’aver ricevuto invece solo richieste, si alza, minaccia il figlio che non dovrà più chiedergli niente, torna a casa distrutto e stanco, con la sensazione di non essere riuscito ad avere nessun potere sul figlio.
Ma allora? cosa possiamo fare come genitori per passare un weekend tranquillo? Cosa possiamo fare perché una passeggiata in centro non si trasformi in un incubo?

La soluzione è fare scelte educative, che a dirlo sembra sempre semplice ma che richiede un grande e costante impegno. Comporta un cambio di prospettiva, non più legata al soddisfacimento del bisogno qui e ora (anche per il genitore) ma una risposta che ha il sapore di progetto, che lancia la propria azione in un futuro desiderato, auspicato.

Ecco alcune strategie, che bisogna provare, riprovare e provare ancora, soprattutto se i vostri figli hanno capito che con un pianto il NO si trasforma in un SI. Tenete duro, fissate il vostro obiettivo, che non è la lotta ma mettere in atto azioni educative.
Ogni strategia va un pò calata nella realtà, la sua riuscita dipende da tanti fattori, comprese l’età del bambino, il contesto, e soprattutto da quando e come un NO si trasforma in un SI. Tenete duro, l’obiettivo non è la lotta, ma riuscire a vivere un buon tempo di relazione, evitando che vostro figlio diventi un despota egocentrico. Cosa fare?


1. CONCORDARE PRIMA DI USCIRE: a mia figlia piace molto quando le dico: “facciamo un patto”, la fa sentire responsabile di una scelta, partecipe di un processo di crescita. Il genitore deve prima scegliere dentro di se cosa è disposto ad accettare e cosa no. Successivamente parte la contrattazione, che significa narrare cosa andremo a vivere di lì a poco tempo (il patto va fatto immediatamente prima di fare qualcosa, altrimenti non ha valore e ci si dimentica), dichiarare cosa si è disposti ad accettare, fare una scelta. Faccio un esempio: “Facciamo un patto. Accetto che tu guardi i video di questa estate sul mio telefono (dell’uso di dispositivi ne parleremo presto in uno dei prossimi articoli) ma mettiamo un timer di 5 min. Quando il timer suona mi porti il telefono. Ti va bene?” Per me questa strategia è stata una manna dal cielo, perché ogni volta era un dramma. In questo modo Rebecca gestisce autonomamente il sul tempo a disposizione (Faccio una precisazione: mia figlia ha due anni, il telefono è in modalità aereo, ha accesso solo alle foto e video contenuti nel cellulare).
Questa strategia può essere usata per consumo caramelle e dolciumi vari, acquisto palloncini ecc. Contrattare prima significa rifarsi, nel momento in cui nasce un bisogno, ad un accordo stabilito precedentemente e che entrambe le parti devono rispettare.

2. FAR SCEGLIERE UNA TRA PIÙ OPZIONI (stabilite dal genitore): vorreste andare al parco ma tra giostre, trenino e giochi vari temete che il pomeriggio sarà una lotta tra richieste da soddisfare e bisogni incontentabili. Cosa fate?
Potreste scegliere di andare in un altro parco, evitando di affrontare il problema (ma avrete perso l’occasione per sostenere lo sviluppo del vostro bambino) oppure potreste scegliere di andare, e di cogliere l’occasione per aiutare vostro figlio a gestire situazioni come questa. Potreste fargli vedere i soldi a disposizione, per esempio tre monete, farlo partecipare all’acquisto del biglietto, concordare quali giochi fare con i biglietti a disposizione e semplicemente terminare, senza acquistare altri, quando saranno finiti. Il bambino vede, sperimenta che aveva a disposizione delle risorse e che ora non ci sono più. Se piange, voi non potete farci niente, ripercorrete verbalmente ciò che è accaduto: “avevamo a disposizione tre monete, abbiamo scelto di spenderli cosi, ora sono finiti. Non possiamo farci niente, è così che funziona”. Questo li aiuterà indirettamente a fare piccole sperimentazioni di gestione delle risorse. Gli sarà molto utile da grande.

3. FACCIO TUTTO QUELLO DI CUI SOPRA, MA PROTESTA COMUNQUE, CHE FACCIO? potete accontentare vostro figlio, ma avrete fatto tutti gli sforzi precedenti inutilmente. Oppure potrete sostenere vostro figlio in quel momento, sintonizzandovi emotivamente con lui: “Capisco che in questo momento ti senti frustrato. Come posso aiutarti?” (I bambini hanno sempre soluzioni molto creative); “Anche io ricordo che ci rimanevo molto male quando….allora sai cosa facevo? mi aiutava molto…”

Capisco che qualcuno possa dire, “Eh ma ci vuole un sacco di tempo! e chi ce l’ha?!” Per educare un uomo o una donna ci vuole tempo, costanza, coerenza. Dovrete “perdere molto tempo” con i vostri figli se vorrete guadagnarlo dopo. È un investimento. Vale la pena farlo. Avete mai visto crescere un fiore, una pianta, il costo conto in banca, senza fare sforzi? Senza avere pazienza?

Concludo augurandovi di accontentare meno i vostri figli, che a volte somigliano più a malati terminali a cui va sempre concesso l’ultimo desiderio prima di morire. Vi auguro di spendere più tempo con i vostri figli, contrattare, mediare, insegnare loro ad essere uomini e donne di pazienza, di pace, forti e resistenti alle sfide della vita.

Desiderare significa “avvertire la mancanza delle stelle”,
e quando se ne avverte la mancanza, le si attende con trepidazione
e le si ammira con profondità,
perché non si danno per scontato.
Regaliamo allora ai bambini la possibilità di desiderare.
– elogio della frustrazione-

Il cestino dell’autunno

Capita anche a voi di uscire per una camminata che poi si trasforma in una sosta dopo l’altra per raccogliere un legnato, una bacca o una foglia secca?
Una semplice passeggiata all’aria aperta può trasformarsi in una fantastica avventura se ci armiamo di due fondamentali ingredienti:
– possibilità di stupirci
– pazienza

Se usciamo con l’obiettivo di far prendere un po d’aria ai nostri bambini cerchiamo di abbandonare la modalità adulta della performance: sbrigarsi, camminare veloce e a testa bassa, raggiungere un obiettivo. Quindi cerchiamo di lasciare a casa ogni comunicazione che sia vicina a: “Dai, sbrigati?” “Ma non possiamo fermarci ogni cinque minuti!” “Su, forza!”
Quando decidiamo di fare una passeggiata con i nostri bambini dovremmo darci la possibilità di donarci un tempo e uno spazio nuovi: un tempo lento, per far nascere la curiosità, lo stupore, allenare l’osservazione, la capacità di guardare a ciò che ci circonda; uno spazio di possibilità, verso un orizzonte nuovo, senza la necessità di dare risposte immediate, per noi scontate, ma soffermarsi in uno spazio sospeso di domande, in cui lasciarci stupire dalla capacità del bambino di riflettere sui fenomeni del mondo, di ipotizzare risposte.

Mia figlia Rebecca è davvero molto curiosa e certamente cerco di promuovere questa importante qualità sostenendo il suo bisogno di fermarsi, osservare ciò che cattura la sua attenzione, raccogliere piccoli tesori, portare a casa i doni dell’esperienza vissuta.
Stamattina sia uscite approfittando del fatto che non piovesse: è stato così bello osservare come si fermasse a osservare il cielo, guardare i suoi occhi curiosi che mi chiedevano: “C’è il sole oggi?” “Perché non c’è?”, oppure fermarsi a raccogliere le prime foglie cadute a terra, darle il tempo di confrontare i colori delle foglie diversi, a seconda della tipologia, della fase, chiedersi come mai ci fossero dei gusci vuoti di chiocciole… “Dove sono andate?”
Ogni giorno torniamo a casa con un ricco bottino e così stamattina mi è venuta l’idea di portare con me un contenitore e creare il cestino dell’autunno. Ho letto molti articoli sull’importanza di esporre i bambini ai materiali naturali stagionali e ho pensato che non ci fosse occasione migliore che vivere l’esperienza diretta dell’autunno, e della ciclicità delle stagioni, che raccogliere i suoi tesori e portarli a casa per osservarli, giocare, ecc.

Io credo che la capacità di osservazione della realtà sia una competenza che vada allenata, come la capacità di farsi domande, ecco perché cerco di vivere i momenti di tempo libero in modo attento e presente, per consentirmi di non perdere occasioni di crescita per Rebecca e di relazione tra noi. Credo che siamo molto importante vivere le esperienze insieme, arricchirle di ricordi capaci di evocare episodi, aneddoti, senza considerare che sostenere l’interesse spontaneo del bambino è fondamentale per stimolare un amore per la conoscenza, una curiosità per il mondo che lo circonda e per ogni esperienza che possa rivelarsi occasione di apprendimento. La capacità di osservare il mondo, i fenomeni naturali e la sua ciclicità sono competenze naturali nei bambini ma che hanno necessità di essere sostenuti dai genitori. Come? Ponendo domande. E se è necessario dando risposte, ma farlo senza la presunzione di avere la verità in mano, perché un bambino potrebbe sempre formulare una nuova ipotesi da verificare!

Ah!!! dimenticavo!!! Cercate di utilizzare un linguaggio autentico, reale, evitando diminutivi ecc. I bambini amano classificare e per farlo hanno bisogno di conoscere il termine esatto di ogni cosa. Questo li aiuterà anche ad aumentare il loro vocabolario personale e a orientarsi nel mondo.

PS: cerchiamo quindi di documentarci, sennò rischiamo i confondere una lumaca con una chioccola!!! Tutto questo può rappresentare una grande opportunità per noi adulti: stimolandoci a fare esperienze di apprendimento e comprendere ciò che diamo per scontato ma che non conosciamo.

Buon autunno.

14 settembre. Il grande rientro a scuola

Accompagnare il bambino in questo momento significa provare, da genitori, a mettersi nei loro panni, sentire le voci delle loro emozioni, mettere in atto comportamenti che possano sostenerli. 
Ho provato a immaginarmi bambina, a sentire nel mio cuore cosa vorrei da mio padre o da mia madre, quale atteggiamento vorrei che avessero.
Queste sono i bisogni che ho sentito nascere in me:

“Aiutami a vivere questo momento con calma, senza esasperazioni, ho bisogno che tu mi guardi e che tu sia sintonizzato con le mie emozioni”

“Dimmi – è giunto il momento di entrare alla scuola dell’infanzia- e non perché sono grande (non lo sono quasi mai quando voglio fare le cose che voglio) ma perché è ciò che si fa alla mia età”

“Accompagnami in questo percorso con tranquillità, ho paura di allontanarmi da te ma ho anche tanta voglia di scoprire e di fare da solo!”

“Fammi capire che ti fidi veramente della scuola dell’infanzia e delle persone a cui mi affiderai, lo farò anche io!”

“Dammi il tempo per abituarmi ad accettare questa nuova realtà, è un grande cambiamento! Forse avrò bisogno di qualche giorno in più degli altri, ma ce la farò!”

“Salutami sempre quando vai via! Non sparire senza salutarmi, rimarrei smarrito!”

“Se piango non agitarti, sii tranquillo che stai facendo la cosa che si deve fare. Salutami e vai. Dimmi: Se allunghi troppo il tempo del saluto mi sentirò ancora più ansioso”

“Staremo lontani per un pò di ore! Dimmi che tornerai, ripetimelo tante volte!”

“Quando tornerai sarà una grande emozione! Forse talmente grande che non saprò gestirla, quindi se piango non preoccuparti, sono solo felice! Abbracciami e sorridi!”

Sarà una grande avventura, viviamola insieme.

Siamo quello che mangiamo

Me lo ripeteva spesso mia nonna, ma non capivo granché! Non ho mai capito molto dei consigli saggi che mi davano… c’ho messo molti anni. E negli anni li ho riscoperti.
Ero affascinata da come mia nonna preparava con cura i suoi pasti, sceglieva con attenzione dove acquistare il cibo, come cucinarlo. Mi diceva che non si può mangiare qualsiasi cosa, che il corpo ha bisogno di cibo vivo per mantenersi in salute. Che il corpo ha bisogno di cibo cucinato con amore per nutrire… e io il sapore delle sue fettine in padella me lo ricordo ancora!

Qualche anno fa, rivolgendomi ad un nutrizionista, ho scoperto il grande potere dell’alimentazione sullo stato di benessere fisico e psicologico. Ho potuto scoprire, ad esempio, che se stai vivendo un periodo di cambiamento, che richiede fatica da un punto di vista emotivo, è necessario non appesantire lo stomaco, privilegiare una alimentazione semplice.
Se mangiamo cibi pesanti il nostro intestino (secondo cervello) sarà così impegnato a digerire zuccheri, grassi, ecc. che non avremo più energia per digerire quello che non ci va giù a livello alimentare, di relazioni e del quotidiano: saremo meno concentrati, distratti, irascibili e poco lucidi nell’affrontare le questioni. Ciò significa che una piccola opposizione di nostro figlio può diventare terreno di scontro, trasformando una normale giornata in terribile. Avremo meno pazienza e non saremo disponibili a cercare una via pacifica di risoluzione del problema. Quello che dico può sembrare assolutamente strambo, ma fate una prova: provate a osservare il vostro comportamento dopo i pasti. Osservate, senza giudicare, la vostra capacità di sopportazione dopo aver mangiato pizza, birra, patatine fritte e gelato (pasto tipico di un sabato qualunque) o dopo aver fatto un pasto più leggero e salutare. Siamo quello che mangiamo, ricordi?
Molti storceranno il naso e diranno che il pasto salutare è meno gustoso: convinzione assolutamente falsa. Il corpo (pneuma-psico-soma) è un tutto integrato, non qualcosa di frammentato.

Se quello che dico è vero, calatelo nella realtà e soprattutto nelle abitudini alimentari dei bambini. Spesso si sceglie per loro cibo confezionato, contenente molti zuccheri e grassi, per praticità, velocità, ma questi cibi vanno a influenzare negativamente la capacità di concentrazione del bambino nelle attività cognitive, l’attività comportamentale e il tono dell’umore in generale, rendendoli iper-eccitati da un punto di vista fisico (quindi irrequieti), ma pigri e demotivati da un punto di vista umorale.

Come l’alimentazione può aiutarci nel nostro vivere quotidiano?
Ci sono molti siti internet dedicati alla nutrizione infantile o alla nutrizione in famiglia. Seguo con molto interesse il sito della dietista Francesca Oggionni, neo mamma, parla di equilibrio, buon cibo e fertilità. Offre molte strategie per conciliare uno stile alimentare sano alla propria vita quotidiana piena di impegni. Spesso pensiamo che per mangiare bene dobbiamo avere molto tempo a disposizione; è bello scoprire che non è così e che il segreto sta tutto nell’organizzare adeguatamente la propria lista della spesa, le preparazioni, il proprio tempo. Nel sito ci sono anche molte ricette e materiali. Per me è stato molto utile, soprattutto per ripartire da settembre…col piede giusto.

Porridge https://unamelaperdietista.it/colazione-il-porridge/

Come educare un bambino ad una sana alimentazione?
Io credo che prima di tutto ci sia l’esempio, e poi la disposizione individuale.
Diventare modello di alimentazione sana non significa sacrificarsi ma scegliere la salute, il meglio per se e per la propria vita. È importante che i genitori sperimentino quanto una alimentazione sana e consapevole sia importante in termini di miglioramento della qualità della vita. Successivamente potranno scegliere che indirizzo dare alla propria vita familiare, quali insegnamenti trasmettere, non solo a livello comportamentale, di norme e valori, ma anche di cura del proprio corpo.

Molte mamme mi chiedono come possano aiutare i loro bambini a mangiare verdure, legumi. Il mio consiglio è sempre molto semplice: coinvolgere il bambino nella preparazione del pasto: lo farà sentire importante, sarà così orgoglioso di averlo preparato da solo che proverà anche un grande gusto nel mangiarlo e nell’assicurarsi che tutti lo mangino. Provate con torte o biscotti per la colazione, centrifughe di frutta per la merenda, polpette, hamburger di ceci, zucchine ripiene per la cena… troverete moltissime ricette divertenti e salutari.

Fate della vostra cucina uno spazio in cui il bambino possa sentirsi coinvolto, non escluso, approfittate del momento in cui è felice di fare insieme a voi e sostenete lo sviluppo di moltissime competenze che gli sono utili nel vivere quotidiano. Fatelo quando siete disposti ad accettare che i tempi saranno più lunghi, che il piano della cucina inevitabilmente si sporcherà, che probabilmente andrà tutto pulito.

…ma fatelo! io sono certa che anche voi come genitori inizierete a sentire dentro di voi la felicità di chi contribuisce alla salute del proprio figlio, alla partecipazione attiva alla loro crescita: impareranno che la scelta del cibo è legata alla provenienza e che le verdure hanno una vitalità che li rende nutrienti. Sarà bello osservare come i piatti sulla nostra tavola cambiano in base ai ritmi dell’anno, alla stagionalità; percepire di quali cibi abbiamo bisogno per vivere bene; sentirsi parte di una natura che si trasforma. Diventare consapevoli delle trasformazioni che viviamo durante l’anno. Assumere la trasformazione come naturale. …Chissà, forse anche i cambiamenti ci faranno un po meno paura.


E tu? Cosai hai scelto per la tua vita? Cosa sceglierai per i tuoi figli? 

Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene se non ha mangiato bene.
Virginia Woolf

Le parole che aiutano

Come sostenere un bambino che si trova ad affrontare un cambiamento? Una difficoltà? Quali parole possono aiutarlo a esprimere le proprie emozioni?
Quando il vostro bambino vive un momento di difficoltà (non riesce a fare qualcosa, oppure non fa quella cosa come vorremmo noi) ha bisogno di essere sostenuto, e non giudicato; ha bisogno di occhi nuovi per guardare ciò che vive come opportunità, e non solo come limite.
Spesso questo è difficile, perché vorremmo il nostro bambino sereno di fronte ad un problema, tenace in caso di difficoltà, disposto a non abbattersi, collaborare quando glielo chiediamo noi, insomma un bambino perfetto nel nostro immaginario, ma inesistente nella realtà.

Spesso parliamo di rispetto dei bambini, ascolto delle loro emozioni, dei loro bisogni, ecc. ma partiamo da una domanda: Qual’è la mia disposizione di spirito di fronte ad un problema? Qual’è il mio atteggiamento quando si presenta un imprevisto? Siamo sempre disponibili a cambiare velocemente i nostri programmi?

Prendiamoci un attimo per riflettere su queste domande, perché io credo che potremo sostenere la crescita del nostro bambino solo quando prenderemo consapevolezza di “come funzioniamo noi”, della possibilità che ci concediamo di ambientarci a qualcosa di nuovo, del tempo che ci diamo di fronte ad un imprevisto o ad un cambiamento, della disponibilità che ci diamo a commettere errori. Quando accetteremo i nostri limiti, saremo benevoli nei confronti delle fragilità e delle vulnerabilità altrui, saremo gentili con chi ha bisogno di tempo, useremo un linguaggio che sostiene con chi ha bisogno di andare avanti. Saremo gentili ed educheremo alla gentilezza, alla possibilità di accettare l’altro nella sua individualità; insegneremo ai bambini l’amore autentico, quello che si libera dall’immagine eroica di noi stessi per incontrare la vera natura dell’altro.

Cosa possiamo fare dunque per sostenere il nostro bambino quando si trova di fronte ad una difficoltà? L’uso di una comunicazione chiara, efficace, non sbrigativa, è sicuramente un grande aiuto.

Frasi come “Non piangere che sei grande!!!”, oppure “Dai non ti sei fatto niente”, oppure “Dai lo fanno tutti? anche quelli più piccoli di te!!!” e potremmo continuare all’infinito, non appartengono ad una comunicazione in grado di aiutare un bambino che sta vivendo un momento di difficoltà. Sono piuttosto frasi che mortificano il bambino e quello che sta provando. In qualche modo la comunicazione che stiamo dando è: “Quello che provi non ha valore, non mi interessa”. Il bambino vivrà quindi con dolore non solo il disagio di vivere una difficoltà, ma anche il fatto che ciò che prova non è importante, anzi potrebbe creare fastidio agli adulti che si occupano di lui…e lentamente smetterà di comunicarle, dimenticando di dare ascolto alle proprie emozioni.
Le vivrà intensamente, ma non saprà nominarle, riconoscerle e quindi viverle.

Io credo che lasciare inascoltate le emozioni di un bambino o di una bambina sia molto pericoloso. Sono spaventata quando incontro adulti che, in preda alla loro collera, usano un linguaggio verbale aggressivo, giudicante, e totalmente proiettivo. Soprattutto quando lo fanno nei confronti di un bambino.

É assolutamente necessario introdurre nelle scuole interventi di alfabetizzazione emotiva, sostenere i genitori nell’acquisizione di un linguaggio consapevole, sentirci responsabili, tutti, dell’educazione di ciascun individuo.

Ogni bambino ha il diritto di essere sostenuto nella sua crescita e ogni adulto ha il dovere di trovare il modo per farlo.

Se il bambino vive nella critica, impara a condannare. 
Se vive nell’ostilità, impara ad aggredire.
Se vive nell’ironia, impara la timidezza.
Se vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.
Se vive nella tolleranza impara ad essere paziente.
Se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia.
Se vive nella lealtà, impara la giustizia.
Se vive nella disponibilità, impara ad avere fede.
Se vive nell’approvazione, impara ad accettarsi.
Se vive nell’accettazione e nell’amicizia, impara a trovare l’amore nel mondo.

– Dorothy Law Nolte –

Settembre…periodo di inserimenti

Settembre è generalmente un mese impegnativo per alcuni bambini e le loro famiglie: l’inserimento all’asilo nido o l’ingresso alla scuola dell’infanzia sono due momenti cruciali che possono presentarsi del tutto naturali e fisiologici, oppure al contrario un’esperienza dolorosa, critica, che mette in subbuglio un intero sistema famigliare. Quest’anno, a maggior ragione: come gestiremo gli inserimenti dopo il lungo periodo di permanenza a casa dei bambini? Che cosa può aiutare un bambino a vivere un buon inserimento, un buon ambientamento? Il primo aspetto da considerare è che tipo di relazione ho costruito con mio/a figlio/a? Quale è la qualità del nostro attaccamento? Come ho risposto ai suoi bisogni? Quando parliamo di attaccamento intendiamo “una relazione intima e primaria” (J. Bowlby), che si costruisce nei primi anni di vita e si sviluppa tra il bambino e le figure che si occupano maggiormente di lui, la madre, in primis. La qualità della relazione dipende dalla capacità, dell’adulto che si occupa del bambino, di percepire e comprendere le sue esigenze e di provvedervi con risposte adeguate. Il tipo di attaccamento che il bambino ha instaurato con le figure di riferimento rifletterà inevitabilmente il tipo di inserimento che il bambino andrà a vivere. 

Il bambino, che ha avuto una figura di riferimento emotivamente disponibile, che ha intercettato i suoi bisogni e li ha soddisfatti, vive generalmente un attaccamento sicuro. La sua esperienza diretta è che il mondo degli adulti lo comprende, soddisfa i suoi bisogni, è affidabile: verso se stessi e gli altri svilupperà sentimenti di fiducia.

Il bambino che sperimenta che il mondo adulto non è sempre capace di interpretare in modo corretto i suoi segnali, oppure riceve una risposta tardiva, fa esperienza di un attaccamento evitante: questo comporta senso di sfiducia verso se stesso e gli altri. L’inserimento con figure nuove potrebbe suscitare preoccupazione e ansia: la paura di non essere compreso, di non trovare un ambiente capace di farlo sentire bene. 

I bambini che, in risposta al loro pianto (sintomo di un bisogno), ricevono una risposta a volte appropriata e a volte no, oppure sperimentano una gestione ansiosa del suo bisogno (sono i casi in cui il genitore ha paura di non fare bene, è preso da altri pensieri, il suo viso è preoccupato, le sue braccia sono tese, e non possono dunque diventare spazio di conforto e sicurezza) vivono con il genitore un attaccamento ambivalente. Il bambino sente che a volte può fidarsi dell’adulto e a volte no, vive l’esperienza che i suoi bisogni sono fonte di nervosismo e preoccupazione, svilupperà verso il mondo esterno un senso di insicurezza, e la percezione che non è possibile fare affidamento sugli adulti per creare una relazione efficace. L’inserimento di questo bambino, il congedo da parte del genitore, potrebbero rappresentare momenti molto problematici. 

In ultimo, il bambino che viene esposto a ripetute manifestazioni di stress da parte del genitore, che, nel rispondere in modo confuso e nervoso al bisogno del bambino, manifesterà anche eccessiva tensione sia verbale che fisica (prendere in braccio bruscamente un bambino, quando si è nervosi, per esempio, sarà inizialmente di sollievo ma potrebbe provocare un nuovo pianto, se è troppo forte, andando a sommare questo disagio al bisogno che deve essere ancora soddisfatto), vive un attaccamento disorganizzato: un eccesso di nervosismo e tensione, insegnano al bambino che le emozioni intense sono disorganizzanti, mandano in tilt il sistema e generano un senso di paura, inaffidabilità. 

Nei casi in cui si vive con difficoltà l’inserimento del proprio bambino è importante: NON SENTIRTI IN COLPA, NON AVERE FRETTA. Lascia al tuo bambino il tempo di ambientarsi e di sviluppare sicurezza. NON BUTTARLO IN UN NUOVO AMBIENTE CON LA PRETESA CHE DEVE SUBITO STARE BENE. Tu sei sempre disposto alla novità? Agli ambienti in cui non conosci nessuno? Lasciati aiutare dalle figure educative: figure specializzate e preposte all’accoglienza del bambino, ma anche della sua famiglia e delle proprie vulnerabilità. Nessun insegnante vuole intromettersi tra il genitore e il figlio, tutti gli insegnanti vogliono invece fare il possibile perché il bambino viva bene l’inserimento e il tempo scuola in generale. In ultimo…ricordatevi sempre di salutare il vs bambino prima di andare via, è angosciante avere un genitore che sparisce all’improvviso!!! 

Buon lavoro!

Molto più di una colazione

Molte mamme mi chiedono come favorire il consumo di frutta (e verdura) nei loro bambini e generalmente la mia prima domanda è: Quali sono le vostre abitudini alimentari? Il bambino vi osserva normalmente mentre mangiate frutta e verdura?

Se la risposta è SI! consiglio di permettere al bambino di partecipare alla preparazione del pasto. Quando il bambino può manipolare il cibo, preparare qualcosa con le sue mani, generalmente è anche più predisposto al suo consumo.

Preparare il pasto insieme al genitore, o ad un adulto che si occupa del bambino, non ha solo l’obiettivo di fargli mangiare la frutta ma anche quello di permettere al bambino di fare esperienza e acquisire tutta una serie di competenze che gli saranno utili in futuro.

Mi piace molto osservare Rebecca quando si orienta all’interno della cucina e si organizza per prendere l’occorrente e attendere l’inizio dell’attività. Stamattina, ad esempio, ogni cosa le proponevo come colazione non incontrava il suo gusto, allora le ho proposto di aiutarmi a preparare una gustosa spremuta. Generalmente l’uso del termine “aiutarmi” la attiva molto, le piace essere di aiuto, si sente coinvolta e più disposta a collaborare. Così le ho mostrato quale fosse lo spremi agrumi e le ho chiesto di appoggiarlo sul tavolo. Successivamente le ho descritto verbalmente come stavo tagliando l’arancia e mostrato il punto che poi avrebbe inserito nello spremiagrumi. Ovviamente la sua forza non è sufficiente a terminare l’operazione, così le ho chiesto se potevo aiutarla a spremere del tutto l’arancio. Solo dopo aver accettato ho preso il suo arancio per terminare la spremitura.
Insieme abbiamo trasferito la spremuta sul bicchiere che ha portato sul tavolo, dove ha bevuto tutto d’un fiato il suo succo e anche con grande soddisfazione.

Nonostante io sia insegnante non è sempre facile per me avere uno scambio efficace con la mia bambina, ma noto che quando lo faccio tutto scorre più velocemente.
Quando mi allineo ai suoi bisogni di essere rispettata e non strattonata, di darle tempo e non metterle fretta, di riconoscere il suo bisogno di sentirsi partecipe, protagonista, mi sento bene, soddisfatta di me. Sono certa inoltre che questo tipo di esperienze permette al bambino di sviluppare fiducia in sé, nelle sue possibilità, nel suo essere parte attiva del sistema famiglia.
Quando sono presa dai miei pensieri, le mie preoccupazioni, spesso mi dimentico dei avere accanto una persona con i suoi bisogni, le sue esigenze, e qualche volta mi capita di comportarmi come se al mio fianco ci dovesse essere un soldatino che deve obbedire ai miei comandi…ma quando è così non funziona niente. Il flusso di cui parlavo prima si blocca.

Essere presenti a se e ai propri bisogni comporta una grande lucidità, ma è un atto di responsabilità verso un individuo che sta formando la propria percezione del mondo, degli adulti, di se stessi. Offrirgli un tempo e uno spazio per poterlo fare è il forse il compito più difficile a cui noi genitori siamo chiamati.

La lettura va in vacanza

Quando stai per partire per le vacanze e sei in procinto di preparare le valigie, ricorda di mettere sempre in valigia un libro (o più di uno!). Un libro può davvero salvarci la vita nei viaggi a lunga percorrenza, quando ci ritroviamo inaspettatamente in mezzo al traffico, oppure in attesa al ristorante. Sono contraria all’uso di dispositivi elettronici. Ho constatato che ogni volta che se ne accende uno, si spegne un bambino. Sento invece che è importante aiutare il bambino, fin da piccolo, a costruire buone abitudini e aprire un libro per me è:

– educare alla relazione, perché il libro viene letto con un adulto (almeno fino a quando il bambino non impara a leggere autonomamente).

– sostenere i processi cognitivi: bambini esposti precocemente alla lettura ad alta voce riducono il rischio di problemi del linguaggio e dell’apprendimento.

– promuovere il linguaggio: il libro va letto, il bambino nella lettura ripetuta impara nuove parole arricchendo il proprio vocabolario, questo lo aiuterà ad esprimere meglio le sue emozioni e i suoi bisogni.

– sostiene l’educazione alle emozioni, grazie alla possibilità di provare empatia verso alcuni personaggi, dando voce alle loro emozioni.

– sostiene la creatività, la possibilità di essere presente a se stesso e di vivere una relazione vera, autentica con il libro che diventa porta verso mondi sconosciuti.

Il libro non è mai noioso, le immagini sono sempre piene di particolari da osservare insieme, i racconti sono sempre nuovi, scoperti di volta in volta, seguendo gli stadi di sviluppo del bambino. Il tuo bambino ti chiederà di leggere la stessa storia centinaia di volte, non lamentarti, è l’unico modo che ha per fare sua la storia, conoscere i personaggi, imprimere le immagini nella sua memoria.

Da dove iniziare? scegli di recarti nella piccola biblioteca del tuo paese, affidati al proprietario e fatti aiutare a scegliere il libro adatto alle tue esigenze.

La grande maestra montagna

Una delle cose che preferisco della montagna sono i suoi insegnamenti, ispirazioni che posso riportare nella vita. Innanzitutto ci insegna a viaggiare leggeri un lungo tragitto, se affrontato con un grande peso, diventa faticoso e non ti permette di apprezzare la bellezza che si manifesta davanti a noi. Proprio come nella vita …ci vuole leggerezza, essenzialità per vivere il quotidiano.

Avere una meta, avere chiaro dove vuoi andare ti permette di vivere la fatica, di non abbandonare, di superare i tuoi limiti.
La vetta si raggiunge un passo alla volta, il tragitto deve seguire la tua andatura, che significa “sentire” come dosare le tue forze.
Ci vuole costanza per non abbandonare: la montagna sviluppa forza interiore, tenacia. Raggiungere la vetta ti permette di sentire la felicità e sviluppare un senso positivo del se, accresce l’autostima, e non perché qualcuno ti dice Bravo! ma perché ce l’hai fatta! con le tue forze!

La vetta è anche bellezza dopo la fatica, senso pieno dell’esperienza vissuta. 

Guardare il tragitto fatto, i lunghi percorsi compiuti ti fa sentire forte, ce l’hai fatta nonostante non lo avresti mai immaginato. Ti permette di sentire gratitudine.
La montagna insegna la flessibilità, a fronteggiare l’imprevisto, perché se qualche nube minacciosa compare all’improvviso, bisogna cambiare strada, rimodulare il percorso: accettando, senza opporsi.

E poi la montagna e il camminare ispira pensieri, evoca emozioni. 
Non esiste domenica migliore di una escursione o un trekking in montagna.
Il tempo migliore che puoi offrire a tuo figlio è proprio in quota: sarà il cammino silenzioso a parlare per te e a insegnare la leggerezza, l’essenzialità, la forza, il coraggio, la soddisfazione, l’autodeterminazione, la tenacia, la flessibilità, la capacità di adattarsi alle situazioni e a fronteggiare i problemi…la felicità. 

Invece di dire…prova a dire #2

Usiamo la comunicazione dal momento in cui veniamo al mondo ma quasi nessuno ci educa ad un suo uso responsabile, efficace, assertivo.

Dopo aver individuato 7 piccole strategie di comunicazione ora vorrei approfondire un tema importante e spinoso per noi educatori: l’uso del “Bravo”. 

I bambini sin da piccoli vanno abituati a prendere in mano la propria vita. Occorre responsabilizzarli in mille maniere, anche mettendoli di fronte alle difficoltà. Gli ostacoli non vanno eliminati e i fallimenti non sono qualcosa di negativo. È cosi che si matura e si diventa grandi. Per questo “dire bravo non serve”  (Marco Orsi).

Quindi non si può dire?

Il problema è che usiamo “Brava!”, “Bravo!” con distrazione e senza contestualizzarli. Il Bravo talvolta viene anche usato per sgridare, ammonire, stimolare, e persino come arma sottile di manipolazione. “Hai detto  “mamma”, bravo!”, “Dammi la mano, da brava, quando attraversiamo la strada”, “Che bravo che sei quando fai quello che ti dico!”, “Guarda che bravo, hai già sistemato i giochi”, “Che bel disegno, bravo!”, “Fai il bravo”.

Ma cosa significa quel bravo? Cosa intendi dire davvero quando lo dici? Che quando si comporta diversamente non lo è? A questo punto avrete già alzato gli occhi al cielo e vi starete dicendo: “Ma non si può più dire niente allora?”. No, tutto il contrario. Si può dire e fare molto. Molto di più e meglio. Che emozione! Hai detto “mamma”! oppure Per favore, diamoci la mano quando attraversiamo la strada che mi sento più sicura oppure Sono così felice quando fai le cose che ti chiedo! oppure Oh che bello! Avete già sistemato le cose senza che io mi sia innervosita oppure Che bel disegno, lo trovo meraviglioso! “Fai il bravo” non è traducibile, che poi …bravo a fare che??? Con queste frasi l’adulto apprezza un comportamento dimostrando che ha effetti su di lui, senza però emettere giudizi. Questa modalità aiuta l’altro (bambini, adolescenti, adulti) a comprendere che le loro azioni possono esserti di aiuto, e aiutare gli altri fa parte della natura umana. Sentire frasi d’amore, che non contengano giudizio, nutre l’autostima, sostiene un’immagine positiva del sé: Ti voglio bene oppure Mi piace il disegno che hai fatto oppure Grazie di avermi aiutato,non giudicano, non commentano nulla, arrivano dritto al bisogno primario di riconoscimento e sicurezza allontanando ansia e paura. Un bambino accolto, accudito amato senza riserve, crescerà nella consapevolezza del proprio valore. Un bambino che si è sentito dire BRAVO per ogni singola e naturale azione compiuta, senza che quel bravo sia stato contestualizzato, si sentirà sicuramente pieno di sé, ma non saprà in che cosa è competente. Svilupperà, inoltre, un senso di dipendenza da quel giudizio dell’adulto, avete mai visto i bambini che appena riescono a fare qualcosa vanno alzo lo sguardo verso i genitori in cerca di approvazione oppure di bambini che vanno dai genitori e chiedono: “Sono stato Bravo?”.Il bambino, che poi sarà adulto, imparerà a fare le cose per sentirsi ogni volta quel “bravo!” che è dimostrazione di amore, riconoscimento e esperienza appagante tutti insieme. Il bambino si preoccuperà quindi di fare, di dire, di mettere in atto comportamenti volti ad appagare l’altro (I genitori quando è piccino, i prof quando andrà a scuola e il capo quando sarà adulto e entrerà nel mondo del lavoro). Vi è mai capitato di incontrare adulti che sono affannati a fare molte cose? Che cercano di emergere a tutti i costi? Sarebbe interessante chiedere loro “Perché lo fai?”, “Per chi lo fai?”. Per chi lo fai è LA domanda rivelatrice che svela il motivo del nostro essere al mondo e iniziare a chiederselo significa togliere il cambio automatico nella propria vita e scegliere la qualità delle impronte dei passi che voglio lasciare dietro di me.

Sono consapevole della difficoltà di abbandonare vecchi automatismi, e della necessità di vivere leggeri, io sono umana e anche a me capita di dirlo, e quando lo dico cerco sempre di contestualizzare, ovvero specificare in che cosa l’altro secondo me è bravo. Non credo in una comunicazione perfetta, ma credo in una comunicazione perfettibile e sulla possibilità che ognuno di noi possa dare il suo contributo per la costruzione di una umanità più umana.