Le parole che aiutano

Come sostenere un bambino che si trova ad affrontare un cambiamento? Una difficoltà? Quali parole possono aiutarlo a esprimere le proprie emozioni?
Quando il vostro bambino vive un momento di difficoltà (non riesce a fare qualcosa, oppure non fa quella cosa come vorremmo noi) ha bisogno di essere sostenuto, e non giudicato; ha bisogno di occhi nuovi per guardare ciò che vive come opportunità, e non solo come limite.
Spesso questo è difficile, perché vorremmo il nostro bambino sereno di fronte ad un problema, tenace in caso di difficoltà, disposto a non abbattersi, collaborare quando glielo chiediamo noi, insomma un bambino perfetto nel nostro immaginario, ma inesistente nella realtà.

Spesso parliamo di rispetto dei bambini, ascolto delle loro emozioni, dei loro bisogni, ecc. ma partiamo da una domanda: Qual’è la mia disposizione di spirito di fronte ad un problema? Qual’è il mio atteggiamento quando si presenta un imprevisto? Siamo sempre disponibili a cambiare velocemente i nostri programmi?

Prendiamoci un attimo per riflettere su queste domande, perché io credo che potremo sostenere la crescita del nostro bambino solo quando prenderemo consapevolezza di “come funzioniamo noi”, della possibilità che ci concediamo di ambientarci a qualcosa di nuovo, del tempo che ci diamo di fronte ad un imprevisto o ad un cambiamento, della disponibilità che ci diamo a commettere errori. Quando accetteremo i nostri limiti, saremo benevoli nei confronti delle fragilità e delle vulnerabilità altrui, saremo gentili con chi ha bisogno di tempo, useremo un linguaggio che sostiene con chi ha bisogno di andare avanti. Saremo gentili ed educheremo alla gentilezza, alla possibilità di accettare l’altro nella sua individualità; insegneremo ai bambini l’amore autentico, quello che si libera dall’immagine eroica di noi stessi per incontrare la vera natura dell’altro.

Cosa possiamo fare dunque per sostenere il nostro bambino quando si trova di fronte ad una difficoltà? L’uso di una comunicazione chiara, efficace, non sbrigativa, è sicuramente un grande aiuto.

Frasi come “Non piangere che sei grande!!!”, oppure “Dai non ti sei fatto niente”, oppure “Dai lo fanno tutti? anche quelli più piccoli di te!!!” e potremmo continuare all’infinito, non appartengono ad una comunicazione in grado di aiutare un bambino che sta vivendo un momento di difficoltà. Sono piuttosto frasi che mortificano il bambino e quello che sta provando. In qualche modo la comunicazione che stiamo dando è: “Quello che provi non ha valore, non mi interessa”. Il bambino vivrà quindi con dolore non solo il disagio di vivere una difficoltà, ma anche il fatto che ciò che prova non è importante, anzi potrebbe creare fastidio agli adulti che si occupano di lui…e lentamente smetterà di comunicarle, dimenticando di dare ascolto alle proprie emozioni.
Le vivrà intensamente, ma non saprà nominarle, riconoscerle e quindi viverle.

Io credo che lasciare inascoltate le emozioni di un bambino o di una bambina sia molto pericoloso. Sono spaventata quando incontro adulti che, in preda alla loro collera, usano un linguaggio verbale aggressivo, giudicante, e totalmente proiettivo. Soprattutto quando lo fanno nei confronti di un bambino.

É assolutamente necessario introdurre nelle scuole interventi di alfabetizzazione emotiva, sostenere i genitori nell’acquisizione di un linguaggio consapevole, sentirci responsabili, tutti, dell’educazione di ciascun individuo.

Ogni bambino ha il diritto di essere sostenuto nella sua crescita e ogni adulto ha il dovere di trovare il modo per farlo.

Se il bambino vive nella critica, impara a condannare. 
Se vive nell’ostilità, impara ad aggredire.
Se vive nell’ironia, impara la timidezza.
Se vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.
Se vive nella tolleranza impara ad essere paziente.
Se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia.
Se vive nella lealtà, impara la giustizia.
Se vive nella disponibilità, impara ad avere fede.
Se vive nell’approvazione, impara ad accettarsi.
Se vive nell’accettazione e nell’amicizia, impara a trovare l’amore nel mondo.

– Dorothy Law Nolte –

Invece di dire…prova a dire #2

Usiamo la comunicazione dal momento in cui veniamo al mondo ma quasi nessuno ci educa ad un suo uso responsabile, efficace, assertivo.

Dopo aver individuato 7 piccole strategie di comunicazione ora vorrei approfondire un tema importante e spinoso per noi educatori: l’uso del “Bravo”. 

I bambini sin da piccoli vanno abituati a prendere in mano la propria vita. Occorre responsabilizzarli in mille maniere, anche mettendoli di fronte alle difficoltà. Gli ostacoli non vanno eliminati e i fallimenti non sono qualcosa di negativo. È cosi che si matura e si diventa grandi. Per questo “dire bravo non serve”  (Marco Orsi).

Quindi non si può dire?

Il problema è che usiamo “Brava!”, “Bravo!” con distrazione e senza contestualizzarli. Il Bravo talvolta viene anche usato per sgridare, ammonire, stimolare, e persino come arma sottile di manipolazione. “Hai detto  “mamma”, bravo!”, “Dammi la mano, da brava, quando attraversiamo la strada”, “Che bravo che sei quando fai quello che ti dico!”, “Guarda che bravo, hai già sistemato i giochi”, “Che bel disegno, bravo!”, “Fai il bravo”.

Ma cosa significa quel bravo? Cosa intendi dire davvero quando lo dici? Che quando si comporta diversamente non lo è? A questo punto avrete già alzato gli occhi al cielo e vi starete dicendo: “Ma non si può più dire niente allora?”. No, tutto il contrario. Si può dire e fare molto. Molto di più e meglio. Che emozione! Hai detto “mamma”! oppure Per favore, diamoci la mano quando attraversiamo la strada che mi sento più sicura oppure Sono così felice quando fai le cose che ti chiedo! oppure Oh che bello! Avete già sistemato le cose senza che io mi sia innervosita oppure Che bel disegno, lo trovo meraviglioso! “Fai il bravo” non è traducibile, che poi …bravo a fare che??? Con queste frasi l’adulto apprezza un comportamento dimostrando che ha effetti su di lui, senza però emettere giudizi. Questa modalità aiuta l’altro (bambini, adolescenti, adulti) a comprendere che le loro azioni possono esserti di aiuto, e aiutare gli altri fa parte della natura umana. Sentire frasi d’amore, che non contengano giudizio, nutre l’autostima, sostiene un’immagine positiva del sé: Ti voglio bene oppure Mi piace il disegno che hai fatto oppure Grazie di avermi aiutato,non giudicano, non commentano nulla, arrivano dritto al bisogno primario di riconoscimento e sicurezza allontanando ansia e paura. Un bambino accolto, accudito amato senza riserve, crescerà nella consapevolezza del proprio valore. Un bambino che si è sentito dire BRAVO per ogni singola e naturale azione compiuta, senza che quel bravo sia stato contestualizzato, si sentirà sicuramente pieno di sé, ma non saprà in che cosa è competente. Svilupperà, inoltre, un senso di dipendenza da quel giudizio dell’adulto, avete mai visto i bambini che appena riescono a fare qualcosa vanno alzo lo sguardo verso i genitori in cerca di approvazione oppure di bambini che vanno dai genitori e chiedono: “Sono stato Bravo?”.Il bambino, che poi sarà adulto, imparerà a fare le cose per sentirsi ogni volta quel “bravo!” che è dimostrazione di amore, riconoscimento e esperienza appagante tutti insieme. Il bambino si preoccuperà quindi di fare, di dire, di mettere in atto comportamenti volti ad appagare l’altro (I genitori quando è piccino, i prof quando andrà a scuola e il capo quando sarà adulto e entrerà nel mondo del lavoro). Vi è mai capitato di incontrare adulti che sono affannati a fare molte cose? Che cercano di emergere a tutti i costi? Sarebbe interessante chiedere loro “Perché lo fai?”, “Per chi lo fai?”. Per chi lo fai è LA domanda rivelatrice che svela il motivo del nostro essere al mondo e iniziare a chiederselo significa togliere il cambio automatico nella propria vita e scegliere la qualità delle impronte dei passi che voglio lasciare dietro di me.

Sono consapevole della difficoltà di abbandonare vecchi automatismi, e della necessità di vivere leggeri, io sono umana e anche a me capita di dirlo, e quando lo dico cerco sempre di contestualizzare, ovvero specificare in che cosa l’altro secondo me è bravo. Non credo in una comunicazione perfetta, ma credo in una comunicazione perfettibile e sulla possibilità che ognuno di noi possa dare il suo contributo per la costruzione di una umanità più umana.

Invece di dire…prova a dire #1

Quante volte ci è capitato di ascoltare o dire frasi del tipo: “fa sempre il contrario di quello che gli dico!” oppure “se non fai questo niente tv per una settimana!”, “Si fa così perché lo dico io!”.

E quante volte vi capita di dire: “Avevo giurato che non avrei mai fatto come i miei genitori!!!” 

Obiettivo di questo articolo è: come costruire una relazione collaborativa con tuo figlio o tua figlia senza passare per minaccia né ricatto, perché dire: “se fai questo ti do una sculacciata”  oppure “smettila o vedrai come mi arrabbio!!” è una minaccia (per non parlare di quei poveri lupi cattivi che vengono in aiuto di genitori sull’orlo di una crisi di nervi), e dire: “se vuoi questo devi fare quello” è un ricatto. Non ci scandalizziamo per i termini che sto usando, perché questo sono: minaccia e ricatto.

Questo è il momento di scegliere: voglio educare mio/a figlio/a a minacciare e ricattare? Oppure desidero che mio/a figlio/a possa instaurare rapporti di collaborazione con le persone che incontra? Vivere legami in cui c’ uno che comanda e che subisce oppure basati su un rispetto reciproco?

Iniziamo da una domanda: se uno si avvicina a me e mi dice: “guarda che mi arrabbio eh!? Come risponderemmo? Probabilmente “fai tre fatiche!”…ecco, questo è esattamente quello che ci vorrebbero risponderci i nostri figli, ma nella maggior parte dei casi sono molto educati, ci amano, e ci accontentano, o al massimo si oppongono. “Cosa posso fare dunque per farmi ascoltare da mio figlio?”, perché il focus non è sul fatto che il bambino non ascolta, ma cosa posso fare per modificare la situazione? L’adulto deve ricordare che di fronte a sé c’è un bambino che prova sentimenti ed emozioni con la stessa intensità degli adulti, ma senza filtri. È importante dunque fronteggiare le situazioni critiche con pazienza, comprensione, incoraggiamento, i modi per capirci che generalmente abbiamo con chi è “fuori casa” (colleghi, clienti, ecc) ai quali non diremmo mai “basta!”, “piantala!”, “non fare capricci!”, “sei un monello!”. Una persona che si sente compresa, accettata, non ha bisogno di opporsi e di mettersi sulla difensiva. Cambiare qualcosa di ciò che diciamo, come lo diciamo, può fare la differenza. In un rapporto non è “cosa dici” ma “come lo dici” a fare la differenza. 

Cosa puoi fare per sentirti ascoltato:

  1. Abbassare il tono di voce: se urli verrai ascoltato meno. Le urla generano rumore e confusione mentale al bambino. Parlare a bassa voce catalizza l’attenzione del bambino, che per ascoltarci deve smettere di fare qualsiasi cosa, si bloccherà, per indirizzare tutta la sua attenzione ed energia verso il messaggio che gli stiamo inviando.
  2. Usa un tono di voce calmo e pacato. Tu sei in grado di accettare il consiglio di chi te lo dice urlando?. 
  3. Abbassatevi all’altezza di vostro figlio o prendetelo in braccio, in modo che gli occhi siano sullo stesso piano. In caso di figli adolescenti o preadolescenti provate a mettere una mano sulla sua spalla mentre gli parlate, con un tocco deciso e fermo. 
  4. Semplifichiamo il messaggio. Frasi elaborate rischiano di far perdere l’attenzione dell’altro. Adotta frasi semplici, dirette, con un linguaggio adatto all’età, ma evitiamo di usare parole come “bau bau” o che fa riferimento a una lingua che non esiste. Evitiamo sermoni. Chiediamoci prima che cosa voglio, quale è il mio bisogno e andiamo dritti al punto. Facciamo “goal” senza inutili giri di parole.
  5. Specifica cosa vuoi che il bambino faccia non il contrario. Invece di dire: “non andare in mezzo alla strada” prova a dire “stai sul marciapiede”. Invece di dire: “non tornare tardi” è più efficace “Ci vediamo alle 18, in punto.” (Questo funziona anche con gli adulti)
  6. Prenditi un tempo e uno spazio se devi comunicare, spiegare o raccontare qualcosa di importante. Chiedere “hai tempo di ascoltarmi?” vi garantisce di sapere se l’altro è disposto ad ascoltarvi e non vi espone alla frustrazione che spesso si trasforma in rabbia verso l’altro perché non vi siete sentiti ascoltati.
  7. Abbassare il tono di voce: se urli verrai ascoltato meno. Le urla generano rumore e confusione mentale al bambino. Parlare a bassa voce catalizza l’attenzione del bambino, che per ascoltarci deve smettere di fare qualsiasi cosa, si bloccherà, per indirizzare tutta la sua attenzione ed energia verso il messaggio che gli stiamo inviando. Usa un tono di voce calmo e pacato. Tu sei in grado di accettare il consiglio di chi te lo dice urlando?

Queste semplici, e non esaustive, strategie sono praticabili da subito, sta a te scegliere se iniziare. Puoi cambiare il modo di sentirti in relazione con l’altro da te, ma nessuno può agire al posto tuo. All’inizio sarà difficile e per niente naturale ma se sarete costanti diventerà automatico e pian piano vi sentirete più spontanei. 

Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché i tuoi pensieri diventano le tue parole.
Fai attenzione alle tue parole, perché le tue parole diventano le tue azioni.
Fai attenzione alle tue azioni, perché le tue azioni diventano le tue abitudini.
Fai attenzione alle tue abitudini, perché le tue abitudini diventano il tuo carattere.
Fai attenzione al tuo carattere, perché il tuo carattere diventa il tuo destino.
(Lao Tzu)