Educare alla libertà

Libertà.
Dal dizionario: “capacità del soggetto di agire (o di non agire) senza costrizioni o impedimenti esterni, e di autodeterminarsi scegliendo autonomamente i fini e i mezzi atti a conseguirli”.

E gli impedimenti interni?
Subdoli, invisibili, quelli che ti piantano a terra e nel passato, come vecchie cornici polverose?

Libertà.
Termine inflazionato, impoverito, trasformato, a seconda delle esigenze. Totalmente personali.

Faccio l’insegnante. Ho l’illusione di educare alla libertà.
Ma io sono libera?

Mi sento libera di dire “NO!”?
Mi sento libera di dire “SI!”?
Di scegliere secondo i miei bisogni?
(Apro una piccola parentesi rispetto a questo così evitiamo fraintendimenti. Non è egoistico ascoltare e dare voce ai propri bisogni. Lo è non farlo perché poi viviamo nella pretesa, che siccome ci spendiamo tanto, gli altri debbano fare altrettanto, annullando – guarda un pò – la libertà dell’altro).

E tu sei libero/a?
Oppure vivi in salde prigioni, in cui le sbarre sono gli attaccamenti e i carcerieri le aspettative di altri?


Avete mai provato a fare qualcosa di inaspettato e autentico ma totalmente opposto a quello che ci si aspettava da voi?
E come ha reagito il mondo circostante a questo slancio di libertà?

Vi siete sentiti accolti? “Non sono d’accordo con te, ma accetto”
Oppure vi siete solo sentiti giudicati? “Da te proprio non me lo aspettavo”… cosa ci si aspetta da te? Quali aspettative stai assecondando?

Chiediamo ogni giorno ai bambini di smettere di ascoltare ciò che provano e di agire fedelmente alla loro natura, per inseguire le nostre idee, le nostre aspettative.
Vi è mai capitato di dire: “Su, su, non è niente, e poi i maschi non piangono, sono forti!” oppure “Mi raccomando comportati bene che sei una femminuccia”.
Ho visto madri terrorizzate quando hanno visto il proprio figlio spingere un passeggino o prendere in braccio un bambolotto. Alle bambine è ammesso allenare la loro capacità di diventare mamme, ai bambini quella di diventare padri no.
Estremizzo e non generalizzo. Lo so che ci sono le eccezioni.

Se chiediamo ad un bambino di smettere di manifestare se stesso, perché qualcuno lo ha chiesto a noi quando eravamo piccoli, stiamo perpetuando una catena di dipendenza per cui: io non so più che provo, ho bisogno di qualcuno che me lo dica. Però dirò a un bambino quello che deve provare (secondo quello che mi è stato detto) e allora addio empatia, ascolto, e tutte quelle cose che ci permettono di stare in relazione.
Rischiamo di popolare il mondo di corpi fisici senza anima, senza vita.

Il “bravo/a” diventerà la misura del mio andar bene, ricercarlo sarà la mia spinta motivazionale all’azione, ma attenzione: così facendo rischiamo di infilarci in lavori che non vogliamo, in relazioni che non desideriamo, in vite che ci peseranno come zavorre e non ci permetteranno mai di navigare in mare aperto.

Ci plasmeremo a immagine e somiglianza di qualcun altro a cui avremo delegato il potere di decidere per me la vita che devo vivere.
Abbiamo delegato il potere, ma la scelta è stata nostra.

Dobbiamo smetterla di prendercela con gli altri.
Forse eravamo distratti e ad un certo punto ci sveglieremo da questo torpore, ma di una cosa dobbiamo essere consapevoli: ogni parola che esce dalla nostra bocca, ogni azione che muove dalla mia mano è solo nostra. Siamo gli unici che abbiamo il potere di dire/non dire quel giudizio, fare/non fare quella carezza.

Quando fai un gesto, un pensiero carino per qualcuno, ti aspetti qualcosa in cambio?
Sai accettare che l’altro dia un valore diverso alle tue azioni?

Sei libero?
Lasci l’altro libero?
Accogli, comprendi, o giudichi chi non fa secondo quello che ti aspetti?

Come reagisci quando tuo figlio vorrebbe fare qualcosa per cui non sei d’accordo? La tua risposta è: “Non sono d’accordo ma ti sostengo” oppure “Fai come ti dico che sono più grande, ho più esperienza”.

Eccoli allora i bambini che anziché cercare se stessi, come unico modello a cui ispirarsi, cercano di accontentare il papà “così è orgoglioso di te”, la mamma “così fa bella figura”, la nonna “così è contenta e mi sgancia qualche caramella sottobanco” e tutto il resto del parentado, pure i defunti che dall’alto ci guardano.

Ma in tutto questo, dove stanno i bambini? Dove la loro libertà?

La libertà, io credo che se riuscissimo ad aprire gli occhi su come viviamo, come educhiamo, smetteremmo di parlarne e forse inizieremmo a cercarla.

Dove?
Ognuno ha le sue cantine buie e polverose dove cercare. Non ci sono scorciatoie ne strade predefinite. C’è solo quel senso di liberarsi da catene messe da chissà chi, da chissà quando.

Riconoscere che sono libero nel fare di tutto perché io possa diventarlo mi permetterà di smettere di cercare qualcosa in una relazione o in una amicizia che mi priva dell’unica cosa di cui sono in possesso. Me stesso.

Io credo che il processo verso la libertà inizia quando ti guardi allo specchio, ti dai un paio di pacche sulle spalle e ti dici che forse non sei così male. Ma che ora BASTA! Devi smetterla di cercare il riconoscimento fuori.

Ora è tempo di trovare il tuo riconoscimento. Non sarà facile.
La libertà si acquista con dolore. Il dolore di lasciare legami ingabbianti e che vogliono vita. Il dolore di salutare noi bambini per diventare adulti e aprirsi alla possibilità di scegliere. Di provare. Di iniziare a sentire il gusto delle cose.

Sì, perché non ve ne siete accorti. Ma cedendo il diritto a fare le vostre scelte, avete rimesso anche il diritto a sentire il gusto della vita.

Lo ritroverete, un pò arrugginito, là dove lo avete lasciato.
Vi sta aspettando. E non vi giudicherà se lo avete relegato in un angolo, vi perdonerà! Abbraccerà la vostra debolezza, si prenderà cura della vostra fragilità e la trasformerà in un dono prezioso, un tesoro autentico, gratuito.

Non è più tempo di rimandare.
Liberando te stesso, liberi gli altri.
Inizia ora.

La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti.
Nelson Mandela

Educare alla libertà è educare alla responsabilità

“I bambini imparano ciò che vivono. Se un bambino vive nella critica impara a condannare, se vive nell’ostilità, impara ad aggredire. Ma se un bambino vive nell’accettazione  e nell’amicizia impara a trovare l’amore nel mondo.” Dorothy Law Note 

In quesi ultimi mesi abbiamo vissuto il tempo del limite, la sospensione delle scuole ha messo in crisi un intero sistema e organizzazione familiari. I nonni sono stati definiti “categoria a rischio” ma sono anche diventati i “salva vita” delle famiglie, perché senza di loro molti genitori avrebbero fatto difficoltà a organizzare il tempo quotidiano, mantenendo il proprio lavoro. Inizialmente forse le indicazioni fornite sono state considerate rigide e, a volte, esagerate, sta di fatto che abbiamo dato la nostra libera interpretazione del fenomeno, non sempre abbiamo rispettato le prescrizioni, mettendo in pericolo la nostra salute e quella di chi ci circonda. 

…e i bambini? Di cosa staranno facendo esperienza mentre noi adulti siamo indaffarati a “contenere l’emergenza” sanitaria, organizzativa, lavorativa? I bambini stanno sicuramente facendo esperienza del tempo in casa e del tempo in famiglia: un tempo qualche volta dimenticato, finito tra i “fitti” impegni quotidiani. C’è chi inventa giochi, chi si mette ai fornelli, chi cerca di rispolverare quei giochi da tavolo ormai ingialliti in cantina.

Io credo che possiamo sfruttare questo tempo per abbandonare il nostro assetto da guerra e vivere il tempo della condivisione, accettare il limite di non poter decidere e permettere ai bambini di sperimentare, attraverso il come noi viviamo, la possibilità di vivere l’opportunità anche laddove c’è sofferenza e dolore. Non possiamo scegliere cosa vivere, ma possiamo scegliere come viverlo, e il tempo della crisi è un tempo naturale: riuscire a portare gioia e bellezza può preparare i bambini a vivere le future sfide con coraggio, pazienza e fiducia. Opporci a questo tempo significa far vivere ai bambini il tempo della controversia, della disobbedienza e impareranno a non rispettare le regole che vengono poste, a tutti i livelli.  I bambini hanno bisogno di adulti che fanno quello che dicono e che dicono quello che fanno. I bambini vogliono sperimentare la coerenza, che richiede (da parte dell’adulto) disciplina e molto sacrificio; non possiamo pensare che “fai ciò che ti senti” sia educare alla libertà, perché questo si chiama egoismo. Educare alla libertà è educare alla responsabilità: i bambini hanno bisogno di vivere nel rispetto di ciò che viene prescritto, senza polemica o contestazione, ma vissuto nel pieno rispetto del fatto che “la mia libertà finisce quando inizia la tua”.

I bambini hanno anche bisogno di adulti che dicono quello che fanno, ovvero che spieghi loro la realtà, una narrazione del quotidiano che lo aiuti a vivere preparandosi a ciò che sta accadendo. Quale adulto accetterebbe di essere preso e portato senza sapere dove? Di lasciare che qualcuno faccia della propria vita ciò che vuole? Spesso però ci capita di farlo con i nostri bambini: pensiamo ai vari spostamenti tra casa dei nonni, casa dei genitori, parco giochi, ecc. a volte non prepariamo i nostri bambini a ciò che andranno a vivere, e spesso le loro risposte sono di dissenso, piangono, perché non sanno, non comprendono ciò che sta per accadere.

Cerchiamo di vivere la relazione con l’altro partendo da come vogliamo che gli altri ci trattino, questo ci guiderà a relazionarci e a permettere ai nostri bambini, nipoti, di imparare il rispetto, il dialogo, l’attesa, perché osservano il modo in cui noi adulti lo agiamo. I bambini potranno imparare che la loro esistenza è strettamente connessa a quella delle persone che ci circondano, che un atteggiamento civile e rispettoso è la base su cui fondare il futuro della nostra società civile, che la libertà può essere vissuta nel rispetto delle regole e che il tempo dello stare in casa è un tempo di nuova scoperta della relazione con le persone che ci circondano, un tempo di racconti e di cose fatte insieme…questo tempo può diventare così ricco se vissuto nella pienezza dello stare uniti!