HAI TUTTO E NON SEI MAI CONTENTO!

Vi è mai capitato di dire questa frase? E di sentirla?

A me è capitato e capita moltissime volte di pensarlo, di dirlo. Come mamma di una bambina di 3 anni è facile pensarlo, dirlo: “Non gli/le basta mai!”, “Ha tutto e vuole sempre di più!”

…e mi permetto di dirlo che non riguarda solo i bambini. Spesso lo pensiamo e lo diciamo anche nelle relazioni con gli adulti.

Ma cosa vuole realmente?

Veramente più abbiamo, più chiediamo, più vogliamo?

O forse chiediamo e vogliamo senza prima aver capito cosa vogliamo?

Parliamo dei bambini, che poi ogni discorso è riconducibile agli adulti.
È mattina, ore 7:30. Il bambino si siede a tavola e dice: “non voglio i biscotti, voglio lo yogurt!”.
Il genitore, che ha i minuti contati e nel frattempo sta svuotando la lavastoviglie, ci prova e dice: “Dai oggi ci sono i biscotti, domani lo yogurt. Mangiali che è tardi!”. Il bambino che non conosce ii tempo ed è seduto al tavolo da solo, ritorna alla carica e ci riprova: “Io non mangio, voglio lo yogurt!”. Il genitore, che nel frattempo è passato a lavarsi i denti e ha un tempo interno che scorre velocissimo, dice (con tono nervoso): “ok, però mangi tutto e veloce, ci siamo intesi?”, il bambino accetta, il genitore prende lo yogurt e lo porge al bambino…ed ecco che il bambino fa una nuova richiesta….e lì, in quel momento, il genitore pensa che sta per esplodere.

Oppure, è domenica, finalmente il tempo del riposo, la famiglia decide di andare a fare una passeggiata al mare: i genitori seduti su una panchina, guardano i figli che giocano al parco e si godono un po di relax. Passano 5 minuti ed eccolo: “mi dai 1€ che prendo una pallina?”, il genitore non ha voglia di discutere, è domenica, vuole solo riposare: “tieni” il bambino va e torna piangendo: “non volevo quella pallina, ne volevo un’altra!”. Il genitore temporeggia, cerca di distrarlo ma non molla, viene accontentato, perché il genitore vuole stare tranquillo. Torna, dopo due palline dobbiamo ritenerci soddisfatti, stiamo bene per 5 minuti poi…”ho sete, voglio il te”, poi “ho fame voglio il gelato” e dal te o il gelato si passa alla caramella e poi…in un’infinita serie di richieste che ci fa sentire sfiniti, al termine del quale, esausti, o ci alziamo spazientiti urlando: “basta torniamo a casa, non ti basta mai! Sei incontentabile!” Seguono pianti, urla, nervosismo crescente, conflitti tra i genitori. (Ho escluso l’ipotesi fornire uno smartphone così sta zitto! perché è una pratica che risponde al bisogno di attenzione con l’isolamento).

Che cosa è successo? Che cosa succede? Io la mia idea me la sono fatta sperimentando e osservando. E quando vedi che funziona, continui.

Le domande che mi hanno spinta a questa riflessione sono state?

  1. La richiesta è chiara, ma qual’è il bisogno? 
  2. Accontentare è la via più veloce per chiudere la questione?
  3. Se accontento ogni richiesta che mi viene fatta, a cosa educo il mio bambino?

Parto dall’ultima domanda, accontentare sempre i nostri figli significa educarli ad un mondo che dice SI, a tutto. È reale il mondo che gli sto presentando? Troverà sempre adulti pronti a soddisfarlo? E questo ha fatto nascere altre questioni, tra le quali: lo sto educando a rispettare e ad ascoltare i bisogni degli altri? La risposta è NO. Pertanto devo assolutamente sapere che questo modo favorisce lo sviluppo di un individuo incapace di leggere i bisogni altrui, totalmente centrato sui suoi bisogni consumistici. Ecco dunque che rispondo alla domanda due: NO!, perché non si chiude la questione, anzi ne apro di sempre nuove e poco coerenti (domanda 1) con il bisogno. Accontentare senza comprendere il bisogno reale significa perdere l’occasione di aiutare il bambino a leggere il suo bisogno. Spesso infatti quello che vuole il bambino è una vicinanza con il genitore, un’attenzione dedicata e totale a lui e le richieste accontentate perché cosi sto tranquillo non fa altro che educare al consumismo, quindi formare uomini e donne che consumeranno in maniera bulimica oggetti, prodotti, denaro senza assolutamente esserne consapevoli.

COSA FARE? 

Cari genitori cercate di educare alla frustrazione di ricevere piccoli NO, non date risposte automatiche, chiedervi se è necessario dire Si. Se la risposta è NO, provate a dirlo. MENO SI, MENO RICHIESTE. SE SO CHE MI DICONO NO A GELATI, PATATINE, FIGURINE, CELLULARE, SMETTO DI CHIEDERE. Sarà dura i primi giorni, ma vi assicuro che i benefici saranno su tutta la vita. 

LA MISURA DI CHI SIAMO.

Quando moriremo, la misura di quello che siamo stati nella nostra vita ci sarà data dai nostri figli, dagli adulti che saremo in grado di mettere nel mondo.

Don Luigi Verdi ha aperto con queste parole un incontro per famiglie nella quiete di un eremo in Toscana: eravamo tutti seduti, accaldati, attenti, attoniti.

Il modo in cui educhiamo i nostri figli ha un peso sulla società intera.

Che cosa significa questo?

Significa per esempio che se sono seduta a tavola, durante i pasti, cerco di evitare di usare il telefono o guardare la TV, ma mi faccio modello di convivialità: racconto la mia giornata, le cose che mi sono piaciute, le difficoltà che ho affrontato, in modo che i miei figli possano acquisire, in modo del tutto indiretto e involontario, le competenze sociali dello stare insieme.

Significa che di fronte ai cosiddetti “capricci” (ricordiamoci che i capricci non esistono) scelgo di non perdere la testa, anche se sono stanca, né di pretendere che mi si porti rispetto perché vengo da una giornata di lavoro che mi ha lasciato senza energia. Scelgo di guardare a mio/a figlio/a per il/la bambino/a che è, riconosco che anche per lui/lei deve essere stata una giornata difficile senza i suoi genitori, incastrato/a tra mille impegni e trasportato/a come un pacco da un’attività all’altra.
Decido di investire le mie energie per rimanere calma, accogliere quel corpicino agitato e far diventare le mie braccia contenitore in cui abbandonare tutte le fatiche del giorno. Cosi facendo so che sto insegnando la pazienza, l’accoglienza, doti necessarie per vivere in un modo fatto di persone in carne e ossa.

Significa che se decido di andare a cena fuori o in vacanza, non scelgo di spegnere mio/a figlio/a davanti uno schermo, ma lo tengo acceso cercando di scegliere una meta tranquilla, in cui può avere uno spazio esterno in cui correre e divertirsi, portandomi uno zaino in cui ho messo cose che possono incuriosirlo/a, accettando anche che di stare seduto a tavola non ne abbia nessuna voglia. In questo modo lo/la imparerà a riconoscere i bisogni dell’altro/a, a rispettarli.

Significa che non faccio diventare mio/a figlio/a un adempimento, un compito giornaliero da assolvere o un problema da gestire. Scelgo di eliminare il tempo speso in modo superfluo (social compresi – che peraltro mi privano di ogni volontà e mi rendono triste) perché voglio avere le energie per aiutarlo/a a trovare le sue soluzioni ai problemi che lo/la preoccuperanno. Scelgo di non essere spicciativa, perché voglio dedicargli/le l’attenzione che merita; scelgo di non avere fretta, perché la sua soddisfazione è importante. Lo farò in modo autentico, nello stesso modo in cui vorrei essere accolta io, perché so che il modo in cui io oggi accolgo la sua persona, i suoi pensieri, le sue emozioni e preoccupazioni, sarà il modo in cui domani accoglierà le sofferenze altrui. 

Significa che anche se faccio un lavoro che mi porta molte ore fuori casa, quando rientro invoco il tanto dimenticato diritto alla disconnessione per connettermi totalmente con i miei figli, il mio partner, il cane, la natura che mi circonda….qualsiasi essere vivente non virtuale. In questo modo ho la possibilità di educare i miei figli ad un modo di stare in casa, in famiglia, nelle relazioni, di vivere una sfera ON-LIVE in cui fare esperienza di vita reale.

Significa infine che cerco di vivere in modo gioioso, perché non posso desiderare che mio/a figlio/a sia felice se io genitore parlo di felicità, ma vivo costantemente incazz***.
Rifiuterò il giudizio, la menzogna, la critica nella mia quotidianità, sceglierò di concentrarmi su ciò che ho, sviluppando la gratitudine, quel senso di pienezza di una vita felice. In questo modo potrò diventare modello di una vita in cui sentirsi soddisfatti.

La felicità è una scelta, ogni giorno. Quanto più vivrò nella soddisfazione e nella gioia, tanto più darò ai miei figli il permesso di fare altrettanto.

Il bello di avere figli… è goderseli.

Pochi giorni fa ero al mare con le mie figlie.
Non potevamo fare il bagno già da un paio di giorni a causa del forte vento e della pioggia.
In quei giorni abbiamo scoperto che il mare può donare grandi tesori, offrire uno spazio relazionale, e la spiaggia può diventare un ambiente ricco di giochi, stimoli, opportunità.

Raccogliere i vetri che il mare, nel suo andare e tornare, rilascia sulla spiaggia.
Esplorarli, con la vista, il tatto.
Uno è più trasparente, l’altro meno.
Uno è più levigato, l’altro meno..
Provare a classificarli.
Per colore, forma.
Disporli in ordine di grandezza.


Gli occhi diventano strumento di osservazione, catalogazione.
Il bambino allena attraverso il gioco la concentrazione, la capacità di osservazione e discriminazione.

Bambino e adulto insieme, in una serie infinita di rilanci, impegnati a costruire momenti di relazione, a fissare ricordi che durante l’inverno possono donare tenerezza, calore.
Dopo l’osservazione si può passare alla sperimentazione, alla costruzione di nuovi giochi: strade, case, ecc.

Mi domando sempre se un gioco di quelli strutturati, acquistati in negozio possa fare tutto questo. Possa tenere impegnati bambino e adulto per un lungo tempo.

La natura si conferma il miglior parco giochi di sempre, il più ricco di materiale, il più bello da toccare e sperimentare, il più emozionante da guardare, il più stupefacente da scoprire.

E allora cari adulti, buon divertimento, scoprite nei vs figli degli ottimi compagni di viaggio, lasciatevi stupire da ciò che vi circonda, ci sono infinite possibilità di esplorazioni: foglie, legnetti, conchiglie, pini, un materiale unico e sempre diverso per ogni stagione.

Buon divertimento.

PS: queste occasioni che io chiamo avventure ed esplorazioni aiuterà vs figlio/a ad imparare divertendosi, a creare un legame speciale con voi, e saranno proprio i momenti di condivisa esplorazione e scoperta a farvi ricordare, ad imprimere nella loro memoria la vs presenza e a ripeterla quando saranno genitori a loro volta.
PS2: Se ci capita di rivolgerci ai ns figli con frasi tipo: “Non mi disturbare”, “Sei una scocciatura!”… fare esperienze di questo tipo li aiuteranno a sentirsi importanti, speciali per voi.

Le parole che aiutano

Come sostenere un bambino che si trova ad affrontare un cambiamento? Una difficoltà? Quali parole possono aiutarlo a esprimere le proprie emozioni?
Quando il vostro bambino vive un momento di difficoltà (non riesce a fare qualcosa, oppure non fa quella cosa come vorremmo noi) ha bisogno di essere sostenuto, e non giudicato; ha bisogno di occhi nuovi per guardare ciò che vive come opportunità, e non solo come limite.
Spesso questo è difficile, perché vorremmo il nostro bambino sereno di fronte ad un problema, tenace in caso di difficoltà, disposto a non abbattersi, collaborare quando glielo chiediamo noi, insomma un bambino perfetto nel nostro immaginario, ma inesistente nella realtà.

Spesso parliamo di rispetto dei bambini, ascolto delle loro emozioni, dei loro bisogni, ecc. ma partiamo da una domanda: Qual’è la mia disposizione di spirito di fronte ad un problema? Qual’è il mio atteggiamento quando si presenta un imprevisto? Siamo sempre disponibili a cambiare velocemente i nostri programmi?

Prendiamoci un attimo per riflettere su queste domande, perché io credo che potremo sostenere la crescita del nostro bambino solo quando prenderemo consapevolezza di “come funzioniamo noi”, della possibilità che ci concediamo di ambientarci a qualcosa di nuovo, del tempo che ci diamo di fronte ad un imprevisto o ad un cambiamento, della disponibilità che ci diamo a commettere errori. Quando accetteremo i nostri limiti, saremo benevoli nei confronti delle fragilità e delle vulnerabilità altrui, saremo gentili con chi ha bisogno di tempo, useremo un linguaggio che sostiene con chi ha bisogno di andare avanti. Saremo gentili ed educheremo alla gentilezza, alla possibilità di accettare l’altro nella sua individualità; insegneremo ai bambini l’amore autentico, quello che si libera dall’immagine eroica di noi stessi per incontrare la vera natura dell’altro.

Cosa possiamo fare dunque per sostenere il nostro bambino quando si trova di fronte ad una difficoltà? L’uso di una comunicazione chiara, efficace, non sbrigativa, è sicuramente un grande aiuto.

Frasi come “Non piangere che sei grande!!!”, oppure “Dai non ti sei fatto niente”, oppure “Dai lo fanno tutti? anche quelli più piccoli di te!!!” e potremmo continuare all’infinito, non appartengono ad una comunicazione in grado di aiutare un bambino che sta vivendo un momento di difficoltà. Sono piuttosto frasi che mortificano il bambino e quello che sta provando. In qualche modo la comunicazione che stiamo dando è: “Quello che provi non ha valore, non mi interessa”. Il bambino vivrà quindi con dolore non solo il disagio di vivere una difficoltà, ma anche il fatto che ciò che prova non è importante, anzi potrebbe creare fastidio agli adulti che si occupano di lui…e lentamente smetterà di comunicarle, dimenticando di dare ascolto alle proprie emozioni.
Le vivrà intensamente, ma non saprà nominarle, riconoscerle e quindi viverle.

Io credo che lasciare inascoltate le emozioni di un bambino o di una bambina sia molto pericoloso. Sono spaventata quando incontro adulti che, in preda alla loro collera, usano un linguaggio verbale aggressivo, giudicante, e totalmente proiettivo. Soprattutto quando lo fanno nei confronti di un bambino.

É assolutamente necessario introdurre nelle scuole interventi di alfabetizzazione emotiva, sostenere i genitori nell’acquisizione di un linguaggio consapevole, sentirci responsabili, tutti, dell’educazione di ciascun individuo.

Ogni bambino ha il diritto di essere sostenuto nella sua crescita e ogni adulto ha il dovere di trovare il modo per farlo.

Se il bambino vive nella critica, impara a condannare. 
Se vive nell’ostilità, impara ad aggredire.
Se vive nell’ironia, impara la timidezza.
Se vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.
Se vive nella tolleranza impara ad essere paziente.
Se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia.
Se vive nella lealtà, impara la giustizia.
Se vive nella disponibilità, impara ad avere fede.
Se vive nell’approvazione, impara ad accettarsi.
Se vive nell’accettazione e nell’amicizia, impara a trovare l’amore nel mondo.

– Dorothy Law Nolte –

Invece di dire…prova a dire #2

Usiamo la comunicazione dal momento in cui veniamo al mondo ma quasi nessuno ci educa ad un suo uso responsabile, efficace, assertivo.

Dopo aver individuato 7 piccole strategie di comunicazione ora vorrei approfondire un tema importante e spinoso per noi educatori: l’uso del “Bravo”. 

I bambini sin da piccoli vanno abituati a prendere in mano la propria vita. Occorre responsabilizzarli in mille maniere, anche mettendoli di fronte alle difficoltà. Gli ostacoli non vanno eliminati e i fallimenti non sono qualcosa di negativo. È cosi che si matura e si diventa grandi. Per questo “dire bravo non serve”  (Marco Orsi).

Quindi non si può dire?

Il problema è che usiamo “Brava!”, “Bravo!” con distrazione e senza contestualizzarli. Il Bravo talvolta viene anche usato per sgridare, ammonire, stimolare, e persino come arma sottile di manipolazione. “Hai detto  “mamma”, bravo!”, “Dammi la mano, da brava, quando attraversiamo la strada”, “Che bravo che sei quando fai quello che ti dico!”, “Guarda che bravo, hai già sistemato i giochi”, “Che bel disegno, bravo!”, “Fai il bravo”.

Ma cosa significa quel bravo? Cosa intendi dire davvero quando lo dici? Che quando si comporta diversamente non lo è? A questo punto avrete già alzato gli occhi al cielo e vi starete dicendo: “Ma non si può più dire niente allora?”. No, tutto il contrario. Si può dire e fare molto. Molto di più e meglio. Che emozione! Hai detto “mamma”! oppure Per favore, diamoci la mano quando attraversiamo la strada che mi sento più sicura oppure Sono così felice quando fai le cose che ti chiedo! oppure Oh che bello! Avete già sistemato le cose senza che io mi sia innervosita oppure Che bel disegno, lo trovo meraviglioso! “Fai il bravo” non è traducibile, che poi …bravo a fare che??? Con queste frasi l’adulto apprezza un comportamento dimostrando che ha effetti su di lui, senza però emettere giudizi. Questa modalità aiuta l’altro (bambini, adolescenti, adulti) a comprendere che le loro azioni possono esserti di aiuto, e aiutare gli altri fa parte della natura umana. Sentire frasi d’amore, che non contengano giudizio, nutre l’autostima, sostiene un’immagine positiva del sé: Ti voglio bene oppure Mi piace il disegno che hai fatto oppure Grazie di avermi aiutato,non giudicano, non commentano nulla, arrivano dritto al bisogno primario di riconoscimento e sicurezza allontanando ansia e paura. Un bambino accolto, accudito amato senza riserve, crescerà nella consapevolezza del proprio valore. Un bambino che si è sentito dire BRAVO per ogni singola e naturale azione compiuta, senza che quel bravo sia stato contestualizzato, si sentirà sicuramente pieno di sé, ma non saprà in che cosa è competente. Svilupperà, inoltre, un senso di dipendenza da quel giudizio dell’adulto, avete mai visto i bambini che appena riescono a fare qualcosa vanno alzo lo sguardo verso i genitori in cerca di approvazione oppure di bambini che vanno dai genitori e chiedono: “Sono stato Bravo?”.Il bambino, che poi sarà adulto, imparerà a fare le cose per sentirsi ogni volta quel “bravo!” che è dimostrazione di amore, riconoscimento e esperienza appagante tutti insieme. Il bambino si preoccuperà quindi di fare, di dire, di mettere in atto comportamenti volti ad appagare l’altro (I genitori quando è piccino, i prof quando andrà a scuola e il capo quando sarà adulto e entrerà nel mondo del lavoro). Vi è mai capitato di incontrare adulti che sono affannati a fare molte cose? Che cercano di emergere a tutti i costi? Sarebbe interessante chiedere loro “Perché lo fai?”, “Per chi lo fai?”. Per chi lo fai è LA domanda rivelatrice che svela il motivo del nostro essere al mondo e iniziare a chiederselo significa togliere il cambio automatico nella propria vita e scegliere la qualità delle impronte dei passi che voglio lasciare dietro di me.

Sono consapevole della difficoltà di abbandonare vecchi automatismi, e della necessità di vivere leggeri, io sono umana e anche a me capita di dirlo, e quando lo dico cerco sempre di contestualizzare, ovvero specificare in che cosa l’altro secondo me è bravo. Non credo in una comunicazione perfetta, ma credo in una comunicazione perfettibile e sulla possibilità che ognuno di noi possa dare il suo contributo per la costruzione di una umanità più umana.