E se mio figlio morde?

Vi è mai capitato di andare a riprendere vostro figlio al nido e di ritrovarvelo con un morso stampato sul braccio oppure sul viso? Generalmente si passa da un “è normale, tra bambini capita!” a “ma le educatrici che fanno? Come mai non sono riuscite a intervenire?” ad ancora “bisogna che dico alle educatrici di tenere mio figlio lontano da quel bambino aggressivo!”…a tanti altri pensieri ancora.

Quello che spesso non facciamo è chiederci “Cosa vorrà comunicare quel bambino?” e sintonizzarci emotivamente con i genitori, perché trovarsi un figlio con un morso non è assolutamente come essere la mamma di un bambino che morde.
Sì, perché nessun genitore insegna ai propri figli a mordere e quando succede ci si può sentire frustrati (“Il mio morde, gli altri no!”), increduli (“a casa è tanto tranquillo!!”), impotenti (“io non sto all’asilo con lui, come faccio a vietarglielo?!??”), arrabbiati (che poi la rabbia non esiste, è solo una reazione a tutti i precedenti).

E allora che si fa? Generalmente il genitore inizia a confrontarsi chiedendo consigli (e spesso lo si fa alla presenza del bambino, che sente parlare di se in 3^ persona!!! – errore gravissimo), parla in modo logorroico di quanto sia deluso dal comportamento del figlio: è talmente in crisi che giorno e notte il suo unico pensiero è suo figlio che morde. E inizia a guardarlo con altri occhi: non è più il bambino innocente che gioca con le bolle ma è un bambino aggressivo, che potrebbe diventare un bullo, e che mi ha deluso. Infranto il sogno d’amore tra genitore e figlio. Per sempre!

STOP!!!!!!!! Riavvolgete il nastro e ricominciamo da capo. Altrimenti il sogno so trasforma in un incubo. Non ci sono mostri, solo emozioni che vengono agite senza filtri e che hanno bisogno di essere riconosciute, accolte e gestite. 

  • Il bambino morde. È un fatto normale che alcuni bambini mordano. È normale soprattutto se il bambino ha un vocabolario delle emozioni povero e una struttura linguistica immatura. 
  • Il morso è un messaggio. Il bambino in modo veloce e senza possibilità di fraintendimenti ci sta dicendo: “Provo un disagio!” “Adulto che sei con me ho bisogno del tuo aiuto!”
  • E allora, che si fa? Lasciamo che morda e che faccia del male agli altri? NO! Iniziamo da un domanda: “Nell’ultimo periodo ci sono stati cambiamenti importanti nella routine del bambino?”
  • E poi? Come faccio a farlo smettere? Secondo la mia esperienza attraverso il morso il bambino invia un messaggio al genitore, anche se morde durante il tempo che vive al nido o alla scuola infanzia. Il messaggio può comunicare dal “ho bisogno di più tempo con te” a “questa situazione per me è troppo frustrante, ho bisogno di essere portato via perché ho bisogno di calma e tranquillità”. 
  • EVITARE di parlare di morsi quando il bambino non è a scuola o gioca tranquillo con altri bambini; vietato guardare i bambini con occhi sospettosi: amatelo, nella sua fragilità e coinvolgetelo il più possibile: fate insieme, fategli sentire che l’amore che avete per lui è invariato. Ogni bambino ha bisogno di sapere che, a discapito di tutto, i suoi genitori lo ama.
  • EVITARE: “sei cattivo!” “Se mordi vai in punizione!” ecc… serve solo a rendere ancora più nervoso il vostro bambino.

IL COMPITO PIÙ IMPORTANTE SPETTA all’adulto, alla sua capacità di sintonizzarsi con il bambino, guardarlo negli occhi, parlargli a voce bassa e con tono amorevole. 

Per farlo sarà importante lasciarsi guidare dalle educatrici o dalle insegnanti, la loro esperienza e professionalità non è finalizzata a giudicarvi, a etichettarvi come una “cattiva madre!” (parlo alle madri che generalmente soffrono maggiormente questa situazione!) ma a guidarvi alla costruzione di una relazione consapevole, empatica, con il vostro bambino a beneficio di quella giovane anima che sta gridando di essere ascoltata. Se l’adulto affronta questi momenti così critici in modo propositivo, il suo sguardo è attento a comprendere il messaggio sottostante, offre la possibilità al bambino di fare esperienza che è accompagnato, nella sua crescita, da genitori che, seppur lavoratori, indaffarati, e in costante lotta contro il tempo, vivono la relazione con il proprio figlio come una missione prioritaria (e umanitaria) rispetto a tutto il resto; perché non si tratta solo di avere un figlio ma di crescere un adulto forte, sicuro di se, accogliente, che sappia portare nel mondo la parte migliore di sé, che sappia vivere le questioni che lo riguardano in modo critico, senza fermarsi alla superficie ma cercando di approfondire e di comprendere quando e come un problema si trasforma in opportunità.