Non sono solo “ciambelle”

Complici un pò la zona rossa e un pò il pullulare sui social di chi impasta, sforna, ecc, mi sono detta: “ci provo anche io!”
Così, mi sono messa, ho raccolto tutti gli ingredienti necessari e via! Ai fornelli!

Prova 1: buone ma non belle. Della serie: “si impegna ma potrebbe fare di più”

Ci riprovo!

Prova 2: meglio, ma ancora non come quelle che vorrei.

Non ho fatto una prova 3 perché quando ho visto la prova 2 mi sono detta: “Che intenzione ho messo nel fare queste famose ciambelle pasquali?” (dolce tipico mareratese)
“Le ho fatte con amore?”

E lì ho capito!

Io non le ho fatte con amore.
Queste ciambelle nascondono un bisogno di amore.

Celano il bisogno di sentirsi riconosciuti, di sentirsi dire: “brava!”

Ecco allora che mi sono vista bambina, impegnata e affannata per ricevere un “brava” che non è mai arrivato e che sto ancora aspettando.

Lo sto aspettando, ma lo voglio ancora aspettare?

Se Pasqua dunque è resurrezione io mi auguro di risorgere da questo bisogno, di tagliare i fili che mi legano al passato e che mi impediscono di volare in alto.

Questo bisogno di riconoscimento mi sta costringendo a rivolgere il mio sguardo dietro, ad un passato che va accolto, coccolato, perdonato e allo stesso tempo, mi sta impedendo di guardare al futuro che oggi è rappresentato da mia figlia.

Come posso io fare la madre se vesto ancora i panni di “figlia” e, trepidante, sto ancora aspettando quel “brava”?

Ecco allora che io, in questa Pasqua, voglio cercare di pacificare questo bisogno, iniziare a dirmi “mi impegno e va bene così”.

A domandarmi se ciò che faccio, i progetti in cui dirigo la mia attenzione, mi creano felicità e soddisfazione e darmi la possibilità di lasciarli quando li sento troppo faticosi.

Voglio cercare di essere padre e madre di me stessa. A ricercare il mio sguardo e offrire occhi amorevoli, a guardarmi con benevolenza.

Vi auguro che ci possa sempre essere una possibilità di resurrezione nella vita di ciascuno di voi.
Buona Pasqua

Bianco e morbido.

Sveglia fissata alle 6:15, obiettivo farmi una bella camminata di sabato, per distendere le tensioni accumulate, caricarmi di buona energia per la settimana successiva.

Non avevo però considerato l’allerta meteo.

Quindi mi sveglio, forte del mio obiettivo, apro un po la persiana: tutto bianco.
Mi sono rimessa a letto. Oggi me la prendo comoda.
Poi mi sono detta: “ma che bello però avere la casa tutta per me, silenziosa, un pò di yoga, godermi la neve che scende. Oggi me la prendo bianca e morbida.

A godermi senza pretese un tempo in casa che generalmente è affaccendato, organizzato.

Ora è bianco, morbido e silenzioso.
Ho tutto il tempo a disposizione, posso fare quello che voglio.

È possibile avere un tempo tutto per se senza uscire di casa. Sì, basta alzarsi prima degli altri e godersela un pò.

Perché avrei potuto vivere con frustrazione il fatto di non poter andare a camminare, uscire all’aria aperta (anche se lo farò più tardi e non da sola), avrei potuto. Se la mia vita fosse nel lamento e la mia attenzione nella parte mancante.
In questo periodo invece mi sto dedicando a porre l’attenzione su ciò che c’è. Senza pensare a ciò che non c’è o ci sarebbe potuto essere.
Io voglio dedicare la mia attenzione a ciò che c’è, all’unica cosa reale.

Perché lo chiamo esercizio? Perché è un allenamento.
Ci vuole intenzione per iniziare, tenacia per proseguire, resistenza per farlo diventare un modo di fare nella propria vita.

Ecco allora che ho avuto la possibilità di dedicarmi un tempo diverso da quello che avevo pensato ma non per questo peggiore, ho scelto con cura come “riempirlo”.
Io credo che se ci focalizziamo sulle cose da fare per stare bene rischiamo di vivere la frustrazione di non essere mai pienamente felici, se invece ci focalizziamo sullo stare bene, non è poi molto importante quali azioni mettere in atto.

Bianco e morbido.
Oggi voglio vivere così. Nella pienezza di un sabato non immaginato, non programmato.
Nello stupore di un evento che mi apre la possibilità di trovare nuove forme di benessere, al di là di quelle pensate e immaginate.

Ultimamente sto leggendo un libro che mi mette di fronte a molte domande, alle quali non riesco a trovare risposta se non provando a vivere cercandole.

Cosa faresti se ti rimanesse soltanto un anno di vita?
Che cosa vorresti lasciare in eredità a questo mondo, quando te ne andrai?

Io non ho mai creduto che una eredità fosse quella del conto in banca, che per carità aiuta ma non insegna niente. Le più grandi eredità che ho ricevuto sono state le azioni, l’esempio nella vita vissuta, nelle tribolazioni quotidiane, che rappresentano la cassetta degli attrezzi per orientarmi in questa vita.

Che cosa vorresti lasciare in eredità a questo mondo, quando te ne andrai?
Ancora non lo so, ma di certo sto lavorando sulla morbidezza. Non è facile.
Morbidezza nel perdonarmi un errore, per poi perdonarlo a qualcun altro.
Nel concedermi la possibilità di non adempiere a tutti gli obiettivi quotidiani, per poterlo accettare negli altri. Morbidezza nel non essere perfetta, per poter accogliere l’altro, nella sua impercettibile perfezione.


Vorrei lasciare in eredità la cura per le cose, e questo cerco di farlo ogni giorno, prendendomi cura delle relazioni, degli spazi, del tempo.
Ricavarmi un tempo per dedicare un tempo esclusivo a mia figlia, che per me significa prendermi uno spazio in cui guardarla negli occhi, giocare con lei, partecipare ai suoi processi di costruzione del pensiero, osservare come cresce.
Odio la frase: “Non mi sono neanche accorta di com’è diventato grande”.

Io mi voglio accorgere. E lo voglio fissare, per ricordaglielo, per narrarle chi è stata nella sua infanzia, per restituire una storia non solo frammenti regalati dalla memoria.

E allora prendiamocelo questo tempo, è nostro. E di nessun altro. Scegliamo cosa metterci. Non lasciamo che trascorra dietro a schermi o cose che non ci recano felicità.
Riempiamo le nostre vite di soddisfazione, gioia, felicità.

E tu? che cosa vorresti lasciare in eredità a questo mondo quando te ne andrai?

Buon sabato, morbido.