DELLA VITA E DELLA MORTE

Dai 3 ai 5 anni i bambini iniziano a porsi le prime domande relativamente la morte. E per noi adulti generalmente iniziano i primi imbarazzi. Cosa succede quando qualcuno non c’è più? Riusciamo a parlare ai bambini della morte? Quando ci diamo la possibilità di parlare della morte, onoriamo anche la vita che c’è stata prima. Parlare di morte è dunque parlare di vita. E parlare di vita comporta anche parlare della morte. 

Molte volte mi è capitato di situazioni in cui i bambini sono stati tenuti lontano dalla possibilità di partecipare ad un culto funebre, fatto in buona fede per preservare il bambino. Ma in realtà non lo stiamo aiutando. Stiamo perdendo l’occasione di dare senso a ciò che si vive. 

Francoise Dolto, psicoterapeuta francese, ha trattato spesso questo argomento con i genitori, ha chiesto loro di sostenere le domande dei bambini, non rifiutarle, di cercare le risposte, non evitarle. Alla domanda: “Perché si muore?” È possibile rispondere “Perché ha finito di vivere”. Poche parole, che soddisfano il sano bisogno del bambino di avere risposte. “Dopo la morte cosa c’è?” Ad ognuno la risposta secondo i propri valori, il proprio credo, ma non lasciamo che queste domande rimangano senza risposta. Se non le abbiamo possiamo onestamente rispondere: “non lo so, ma noi possiamo continuare a ricordare lo zio. Lo sai cosa diceva sempre?…”. Parliamo loro della bellezza di ciò che è stato vissuto, dei momenti condivisi, solo così potremo rendere quella vita immortale. “È andato via!” senza mostrare un corpo, un rito funebre, può indurre il bambino ad un grande senso di smarrimento, instabilità, rispetto alle figure che ama: non si può rifiutare la vita e non si può evitare la morte. A volte come adulti abbiamo la grande paura di affrontare questi discorsi, riconosciamoci piccoli di fronte ai grandi eroi senza paura: i bambini. Per loro invece è un evento del tutto quotidiano, perché la vivono attraverso la natura (foglie che cadono in autunno, per esempio), fanno esperienza quotidiana e diretta dei cicli di nascita e morte. Osserviamo la natura, le stagioni e ricolleghiamola alla nostra vita.

C’è un bellissimo cartone della Disney-Pixar, COCO, che parla del culto dei morti messicano in cui ogni famiglia vive in modo il ricordo di chi non c’è più: è proprio la vita di chi oggi ha terminato di vivere, che ci ha permesso di essere qui. Ricordiamo dunque i nonni sulla poltrona, le nonne che facevano i ferri, le torte delle zie, le partite a carte nei giorni invernali, ricordiamo e onoriamo coloro che ci hanno amato, cresciuti, i loro insegnamenti…perché quando una persona viene a mancare non è tanto l’eredità economica a farcela ricordare, ma le azioni che ha compiuto nella sua vita, le parole che ha donato, l’amore che ha condiviso. Portare questo nei nostri cuori, fare delle azioni che ci fanno ricordare chi amiamo ma che non c’è più, mantengono viva la memoria di quella persona e questo significa rendere immortale la sua vita. E questo per me è importante, per non dimenticare. E allora andiamo nei cimiteri, fermiamoci a raccontare di quanto rendeva speciale quella persona, di cosa ha fatto, delle cose divertenti che ha detto. Da poco tempo è venuta a mancare una persona a cui ero molto legata. Il suo fare materno mi ha sempre fatto sentire una persona scelta, attraverso la cura dei gesti e dell’ambiente in cui viveva, mi ha insegnato a circondarmi di bellezza, di semplicità.

A non strafare, ma ad avere cura delle cose per avere cura anche delle persone. Lei mi ha insegnato ad agire in virtù di un bene per tutti, non un guadagno individuale, ma un benessere collettivo. Mi capita oggi di camminare sotto i tigli di piazza Cavour, a Tolentino, di respirare quel profumo intenso e penso a lei, penso a lei ogni volta che sono vicino ad un tiglio, alle sue battaglie perché non venissero abbattuti, alle sue lotte per donare bellezza a tutti. Le sono grata e quando ci passo con mia figlia le parlo di lei, dei suoi occhi azzurri, dei suoi ideali, dell’esempio che ha rappresentato per me.

Ciao Antonella. 

Perché la morte è vita, luci di luce altrove.
(Dal film Coco)

HAI TUTTO E NON SEI MAI CONTENTO!

Vi è mai capitato di dire questa frase? E di sentirla?

A me è capitato e capita moltissime volte di pensarlo, di dirlo. Come mamma di una bambina di 3 anni è facile pensarlo, dirlo: “Non gli/le basta mai!”, “Ha tutto e vuole sempre di più!”

…e mi permetto di dirlo che non riguarda solo i bambini. Spesso lo pensiamo e lo diciamo anche nelle relazioni con gli adulti.

Ma cosa vuole realmente?

Veramente più abbiamo, più chiediamo, più vogliamo?

O forse chiediamo e vogliamo senza prima aver capito cosa vogliamo?

Parliamo dei bambini, che poi ogni discorso è riconducibile agli adulti.
È mattina, ore 7:30. Il bambino si siede a tavola e dice: “non voglio i biscotti, voglio lo yogurt!”.
Il genitore, che ha i minuti contati e nel frattempo sta svuotando la lavastoviglie, ci prova e dice: “Dai oggi ci sono i biscotti, domani lo yogurt. Mangiali che è tardi!”. Il bambino che non conosce ii tempo ed è seduto al tavolo da solo, ritorna alla carica e ci riprova: “Io non mangio, voglio lo yogurt!”. Il genitore, che nel frattempo è passato a lavarsi i denti e ha un tempo interno che scorre velocissimo, dice (con tono nervoso): “ok, però mangi tutto e veloce, ci siamo intesi?”, il bambino accetta, il genitore prende lo yogurt e lo porge al bambino…ed ecco che il bambino fa una nuova richiesta….e lì, in quel momento, il genitore pensa che sta per esplodere.

Oppure, è domenica, finalmente il tempo del riposo, la famiglia decide di andare a fare una passeggiata al mare: i genitori seduti su una panchina, guardano i figli che giocano al parco e si godono un po di relax. Passano 5 minuti ed eccolo: “mi dai 1€ che prendo una pallina?”, il genitore non ha voglia di discutere, è domenica, vuole solo riposare: “tieni” il bambino va e torna piangendo: “non volevo quella pallina, ne volevo un’altra!”. Il genitore temporeggia, cerca di distrarlo ma non molla, viene accontentato, perché il genitore vuole stare tranquillo. Torna, dopo due palline dobbiamo ritenerci soddisfatti, stiamo bene per 5 minuti poi…”ho sete, voglio il te”, poi “ho fame voglio il gelato” e dal te o il gelato si passa alla caramella e poi…in un’infinita serie di richieste che ci fa sentire sfiniti, al termine del quale, esausti, o ci alziamo spazientiti urlando: “basta torniamo a casa, non ti basta mai! Sei incontentabile!” Seguono pianti, urla, nervosismo crescente, conflitti tra i genitori. (Ho escluso l’ipotesi fornire uno smartphone così sta zitto! perché è una pratica che risponde al bisogno di attenzione con l’isolamento).

Che cosa è successo? Che cosa succede? Io la mia idea me la sono fatta sperimentando e osservando. E quando vedi che funziona, continui.

Le domande che mi hanno spinta a questa riflessione sono state?

  1. La richiesta è chiara, ma qual’è il bisogno? 
  2. Accontentare è la via più veloce per chiudere la questione?
  3. Se accontento ogni richiesta che mi viene fatta, a cosa educo il mio bambino?

Parto dall’ultima domanda, accontentare sempre i nostri figli significa educarli ad un mondo che dice SI, a tutto. È reale il mondo che gli sto presentando? Troverà sempre adulti pronti a soddisfarlo? E questo ha fatto nascere altre questioni, tra le quali: lo sto educando a rispettare e ad ascoltare i bisogni degli altri? La risposta è NO. Pertanto devo assolutamente sapere che questo modo favorisce lo sviluppo di un individuo incapace di leggere i bisogni altrui, totalmente centrato sui suoi bisogni consumistici. Ecco dunque che rispondo alla domanda due: NO!, perché non si chiude la questione, anzi ne apro di sempre nuove e poco coerenti (domanda 1) con il bisogno. Accontentare senza comprendere il bisogno reale significa perdere l’occasione di aiutare il bambino a leggere il suo bisogno. Spesso infatti quello che vuole il bambino è una vicinanza con il genitore, un’attenzione dedicata e totale a lui e le richieste accontentate perché cosi sto tranquillo non fa altro che educare al consumismo, quindi formare uomini e donne che consumeranno in maniera bulimica oggetti, prodotti, denaro senza assolutamente esserne consapevoli.

COSA FARE? 

Cari genitori cercate di educare alla frustrazione di ricevere piccoli NO, non date risposte automatiche, chiedervi se è necessario dire Si. Se la risposta è NO, provate a dirlo. MENO SI, MENO RICHIESTE. SE SO CHE MI DICONO NO A GELATI, PATATINE, FIGURINE, CELLULARE, SMETTO DI CHIEDERE. Sarà dura i primi giorni, ma vi assicuro che i benefici saranno su tutta la vita. 

LA MISURA DI CHI SIAMO.

Quando moriremo, la misura di quello che siamo stati nella nostra vita ci sarà data dai nostri figli, dagli adulti che saremo in grado di mettere nel mondo.

Don Luigi Verdi ha aperto con queste parole un incontro per famiglie nella quiete di un eremo in Toscana: eravamo tutti seduti, accaldati, attenti, attoniti.

Il modo in cui educhiamo i nostri figli ha un peso sulla società intera.

Che cosa significa questo?

Significa per esempio che se sono seduta a tavola, durante i pasti, cerco di evitare di usare il telefono o guardare la TV, ma mi faccio modello di convivialità: racconto la mia giornata, le cose che mi sono piaciute, le difficoltà che ho affrontato, in modo che i miei figli possano acquisire, in modo del tutto indiretto e involontario, le competenze sociali dello stare insieme.

Significa che di fronte ai cosiddetti “capricci” (ricordiamoci che i capricci non esistono) scelgo di non perdere la testa, anche se sono stanca, né di pretendere che mi si porti rispetto perché vengo da una giornata di lavoro che mi ha lasciato senza energia. Scelgo di guardare a mio/a figlio/a per il/la bambino/a che è, riconosco che anche per lui/lei deve essere stata una giornata difficile senza i suoi genitori, incastrato/a tra mille impegni e trasportato/a come un pacco da un’attività all’altra.
Decido di investire le mie energie per rimanere calma, accogliere quel corpicino agitato e far diventare le mie braccia contenitore in cui abbandonare tutte le fatiche del giorno. Cosi facendo so che sto insegnando la pazienza, l’accoglienza, doti necessarie per vivere in un modo fatto di persone in carne e ossa.

Significa che se decido di andare a cena fuori o in vacanza, non scelgo di spegnere mio/a figlio/a davanti uno schermo, ma lo tengo acceso cercando di scegliere una meta tranquilla, in cui può avere uno spazio esterno in cui correre e divertirsi, portandomi uno zaino in cui ho messo cose che possono incuriosirlo/a, accettando anche che di stare seduto a tavola non ne abbia nessuna voglia. In questo modo lo/la imparerà a riconoscere i bisogni dell’altro/a, a rispettarli.

Significa che non faccio diventare mio/a figlio/a un adempimento, un compito giornaliero da assolvere o un problema da gestire. Scelgo di eliminare il tempo speso in modo superfluo (social compresi – che peraltro mi privano di ogni volontà e mi rendono triste) perché voglio avere le energie per aiutarlo/a a trovare le sue soluzioni ai problemi che lo/la preoccuperanno. Scelgo di non essere spicciativa, perché voglio dedicargli/le l’attenzione che merita; scelgo di non avere fretta, perché la sua soddisfazione è importante. Lo farò in modo autentico, nello stesso modo in cui vorrei essere accolta io, perché so che il modo in cui io oggi accolgo la sua persona, i suoi pensieri, le sue emozioni e preoccupazioni, sarà il modo in cui domani accoglierà le sofferenze altrui. 

Significa che anche se faccio un lavoro che mi porta molte ore fuori casa, quando rientro invoco il tanto dimenticato diritto alla disconnessione per connettermi totalmente con i miei figli, il mio partner, il cane, la natura che mi circonda….qualsiasi essere vivente non virtuale. In questo modo ho la possibilità di educare i miei figli ad un modo di stare in casa, in famiglia, nelle relazioni, di vivere una sfera ON-LIVE in cui fare esperienza di vita reale.

Significa infine che cerco di vivere in modo gioioso, perché non posso desiderare che mio/a figlio/a sia felice se io genitore parlo di felicità, ma vivo costantemente incazz***.
Rifiuterò il giudizio, la menzogna, la critica nella mia quotidianità, sceglierò di concentrarmi su ciò che ho, sviluppando la gratitudine, quel senso di pienezza di una vita felice. In questo modo potrò diventare modello di una vita in cui sentirsi soddisfatti.

La felicità è una scelta, ogni giorno. Quanto più vivrò nella soddisfazione e nella gioia, tanto più darò ai miei figli il permesso di fare altrettanto.

Il bello di avere figli… è goderseli.

Pochi giorni fa ero al mare con le mie figlie.
Non potevamo fare il bagno già da un paio di giorni a causa del forte vento e della pioggia.
In quei giorni abbiamo scoperto che il mare può donare grandi tesori, offrire uno spazio relazionale, e la spiaggia può diventare un ambiente ricco di giochi, stimoli, opportunità.

Raccogliere i vetri che il mare, nel suo andare e tornare, rilascia sulla spiaggia.
Esplorarli, con la vista, il tatto.
Uno è più trasparente, l’altro meno.
Uno è più levigato, l’altro meno..
Provare a classificarli.
Per colore, forma.
Disporli in ordine di grandezza.


Gli occhi diventano strumento di osservazione, catalogazione.
Il bambino allena attraverso il gioco la concentrazione, la capacità di osservazione e discriminazione.

Bambino e adulto insieme, in una serie infinita di rilanci, impegnati a costruire momenti di relazione, a fissare ricordi che durante l’inverno possono donare tenerezza, calore.
Dopo l’osservazione si può passare alla sperimentazione, alla costruzione di nuovi giochi: strade, case, ecc.

Mi domando sempre se un gioco di quelli strutturati, acquistati in negozio possa fare tutto questo. Possa tenere impegnati bambino e adulto per un lungo tempo.

La natura si conferma il miglior parco giochi di sempre, il più ricco di materiale, il più bello da toccare e sperimentare, il più emozionante da guardare, il più stupefacente da scoprire.

E allora cari adulti, buon divertimento, scoprite nei vs figli degli ottimi compagni di viaggio, lasciatevi stupire da ciò che vi circonda, ci sono infinite possibilità di esplorazioni: foglie, legnetti, conchiglie, pini, un materiale unico e sempre diverso per ogni stagione.

Buon divertimento.

PS: queste occasioni che io chiamo avventure ed esplorazioni aiuterà vs figlio/a ad imparare divertendosi, a creare un legame speciale con voi, e saranno proprio i momenti di condivisa esplorazione e scoperta a farvi ricordare, ad imprimere nella loro memoria la vs presenza e a ripeterla quando saranno genitori a loro volta.
PS2: Se ci capita di rivolgerci ai ns figli con frasi tipo: “Non mi disturbare”, “Sei una scocciatura!”… fare esperienze di questo tipo li aiuteranno a sentirsi importanti, speciali per voi.