
È un venerdì sera di inizio febbraio, sono stanca, è stata una giornata faticosa di una settimana faticosa, di un periodo faticoso. Sento che devo riposare.
Per fortuna la bambina è stanca e si addormenta presto, io decido di spendere le mie ultime energie leggendo.
Riprendo il libro nel cassetto, abbandonato insieme ad altri avviati, anche se questo è diverso… ultimamente richiama la mia attenzione, cerco di leggerne una o più pagine prima di abbandonarmi al sonno.
E stasera finalmente ho più tempo delle altre sere.
“Anche se sono la sola a sapere perché lo faccio per me è sufficiente” (C. Ramville)
Wow!!!!
Come terminare una giornata con un pensiero potente e liberatorio.
Eh si perché in un’epoca di performance, di condivisione social senza giustificato motivo porsi la domanda: PER CHI LO FACCIO? è qualcosa che in me, in questo momento della mia vita, risuona come le campane a mezzogiorno in Prato della Valle, a Padova!
Le avete mai sentite?
Non puoi non sentirle.
Se avevi l’illusione di vivere addormentato loro ti fanno tornare presente.
Proprio come la frase:
Per chi lo faccio? Che poi porta alla seconda Anche se sono la sola a sapere perché lo faccio, per me è sufficiente.
È davvero sufficiente?
O andiamo ancora a bussare alla porta di chi ci ha preceduto a elemosinare un pezzo di riconoscimento da parte di chi non l’ha mai concesso nemmeno a se stesso?
Quando sono in procinto di fare una cosa, una qualsiasi, lo faccio immaginando di ricevere il “bravo!!!!” che sto aspettando da mio padre, mia madre, ecc, oppure vivo perseguendo l’unica possibile scelta di fedeltà, a me stessa?
Per chi lo faccio? È stata la domanda che mi sono fatta un attimo dopo aver pubblicato il sito internet e deciso di realizzare quel sogno chiuso in un cassetto da ormai troppi anni. Me lo chiedo ogni volta che pubblico un articolo.
Per chi lo faccio? Lo faccio per me.
Per essere fedele a quella promessa scritta sullo zaino delle superiori “memento audere semper”, per quella maglietta ai tempi dell’università “non mi avrete mai come volete voi“, ma anche per quella roba lì che ormai ho 40 anni e allora, “o adesso o mai più”.
Ma soprattutto lo faccio perché la condivisione per me è sempre arricchimento. Chi non lo fa, magari perché spaventato di perdere qualcosa, priva gli altri dei suoi doni, e si priva della possibilità di essere contaminato.
Una volta era normale condividere, lo si faceva intorno ad un camino, seduti davanti casa o sotto un albero. Oggi è diventato “mettersi in mostra”, ma come una volta, bisogna stare attenti al modo in cui condivido, a cosa condivido, perché condivido, per chi condivido.
Io guardo con profonda ammirazione chi non si nasconde ma viaggia libero nel mondo, fiero di condividere se stesso, la sua storia, le sue domande, le sue riflessioni. Non mi piace chi condivide solo risposte senza farsi le domande, non mi piace nemmeno chi non accetta che gli altri si possano fare delle domande.
Chi mi credo di essere? Uno come te, cammino, inciampo, cado e mi rialzo. Non mi chiedo che senso ha rialzarsi, ma tendo a chiedermi che senso ha avuto cadere per me, per la mia storia, per la mia vita.
Ci sono momenti in cui dimentico quel patto di fedeltà a me stessa e cedo ad altri di potere di farmi dire se valgo, quanto.
Rimango delusa. Chiedendo a chi non ha avuto so già che non potrò ricevere. Ma allora perché? Perché bramare brandelli di riconoscimento a chi veste di toppe?
La riposta è nella ns storia personale.
La soluzione e il cambiamento sono nella nostra storia personale.
Allora iniziamo a fare qualche piccolo esercizio di consapevolezza, iniziamo a scegliere come spendere le nostre energie anziché disperdere.
Di fronte ad un’azione, ad una scelta lavorativa, ad una condivisione social, chiediamoci:
per chi lo faccio?

Lo faccio per sentirmi dire bravo? e allora sorridiamo, perdoniamoci, siamo buffi, tremendamente buffi e goffi di fronte ad una vita che non sempre siamo pronti a vivere.
Bisogna pur sopravvivere!!!
Recuperiamo il diritto a vivere la ns vita da protagonisti, non per il bisogno di sentirci dire quanto siamo bravi ma per il diritto a vivere una vita vera, autentica nelle motivazioni che spingono le nostre azioni. Cerchiamo di togliere quel velo di ipocrisia che ci fa trovare tanti falsi nomi perché ci manca il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Per chi lo faccio? Per i like? che valore ha in me quel click.
Che bisogno di amore si nasconde dietro alla considerazione social?
Che valore ha per la mia vita pesare ciò che dico con la quantità di “mi piace” che ricevo?
Ho bisogno degli altri per avere la percezione di essere vivo oppure sento la mia esistenza presente e viva?
Liberiamoci da quell’immagine perfetta di noi che ci hanno dato, nonostante ci hanno sempre trattati come disastro umani. Ci dicevano: “Sei sempre il solito scansafatiche” e poi pretendevano da noi che fossimo i primi della classe, i primi nello sport, come se per essere tutte queste cose insieme non fosse necessario anche una bella dose di supporto emotivo e autostima.
Che poi come può uno che si è sempre sentito dare del fallito sentir nascere dentro di se un’immagine di se stesso positiva?
(è contorta, lo so, oggi è così!)
Abbiamo una storia. Ma come adulti scegliamo ogni giorno che cosa scrivere sulla pagina del nostro presente che poi determinerà il nostro futuro. E il futuro di chi ci seguirà.
E tu? Con quale parola stai scrivendo il libro della tua vita? Scrivi sotto dettatura oppure stai facendo un tema libero?
Per chi vivi?
Auguro ad ognuno di voi di trovare la forza di sapere perché fate le cose e di farvi bastare il fatto che sapete perché lo state facendo.
Riprendo il libro…
“Se lasciamo che sia il nostro atteggiamento positivo a guidare la ns vita,
nulla potrà più fermarci nella marcia verso il successo.”
Claudia Ramville
Che riflessione stimolante; essere autentici ed integri con se stessi e’ una grande sfida e la tua domanda risuona come le campane di Padova, anche se non le ho mai sentite di persona!
Siamo alla guida della nostra vita, abbiao una visione chiara di dove stiamo andando e da dove proveniamo? io sono oltre i 50 e posso condividere che e’ un continuo scoprire nuovi strati di me stessa che non conoscevo, che credevo fossero parte di me ed invece scopro sono meccanismi difensivi che ho imparato senza accorgemene ma che. ora, non mi servono piu’.
Ogni volta e’ un nuovo giro di giostra nella scoperta di chi io sono realmente e, certo, chiedersi e rispondere sinceramente “per chi lo faccio” e’ un ottima guida verso noi stessi.
Grazie per aver condiviso la tua serata difficile: un momento di cresciuta prezioso!
Grazie a te Serenella, è bello sentirti così vicina.